Nella meravigliosa cornice del resort di Roccamare in una delle strutture di Carattere Toscano, a Castiglion della Pescaia, Grosseto, si è tenuto un convegno sugli aspetti mentali che favoriscono la prestazione.
La felice riuscita dell’evento, che ha coinvolto un centinaio di professionisti e amanti dello sport, è stato realizzato da YMCA School & Baseball Academy e dal suo promotore Marco Mazzieri(Manager della Nazionale Italiana di Baseball e coach dell’anno 2017 - insignito dalla Federazione Europea di Baseball). Protagonisti dell’evento sono stati Paolo Pizzo (Campione del mondo di spada); Diana Bianchedi (Pluricampionessa olimpica di Fioretto); Yaima Ortiz (Bronzo olimpico ad Atene di pallavolo); Raffy Colon(Mental Skills performance coach della nazionale italiana di baseball); Mario Boni (Ex cestista di livello assoluto). A moderare il convegno è intervenuto il giornalista Sky Michele Gallerani. I padroni di casa sono stati il direttore del Resort Attilio Di Scala e Annalisa Monaco in rappresentanza del consiglio di amministrazione. La cosa che mi sono portato a casa dai convenuti è l’assoluta importanza attribuita al fattore mentale, dal modo poetico di usare le metafore di Raffy Colon, dalla passione di Paolo Pizzo, dalla presenza impeccabile, professionale e competente di Marco Mazzieri, dalla determinazione di ‘conan il barbaro’, Marco Boni, che ha presentato un modo di essere atleta senza fronzoli, veramente esilarante, e infine, dal trasporto e dallo slancio di una splendida professionista nonché attuale dirigente nazionale del Coni, Diana Bianchedi. L’opportunità di questo incontro è stato quello di vedere un punto di vista diverso nell'applicazione di quelle che sono le attuali tendenze della preparazione mentale: ascolto, comunicazione, respiro, rilassamento, concentrazione, visualizzazione, organizzazione mentale. Ringrazio dell’opportunità Attilio Di Scala e Annalisa Monaco di avermi fatto sentire a casa.
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Anche la migliore delle partite di calcio può essere analizzata nel dettaglio e offrire luci e ombre.
Luci, perché le palle non sono entrate e le parate sono state provvidenziali. Ombre, perché ogni movimento, ogni presa, ogni distanza e ogni posizione potevano essere realizzate e interpretate ancora meglio. Da tutto si impara. Anche nei mesi di panchina, affrontare un avversario amico - i propri compagni, la mancanza della tensione gara, le distanze in campo, le poche finestre di gioco effettivo, con tante cose da controllare, e l’analisi dei video, sono state utili per crescere, fare allenamenti accorti e imparare da tutti: coach, allenatore dei portieri, compagni, tecnici, società e tifosi. Però, non sono gare! E’ in gara, quando si hanno pochi bonus e ci si gioca tutto, calendario e futuro, che bisogna avere una visione veramente allargata. Le tensioni sono altissime, le speranze di fare bene, pure, ed è lì che le partite diventano prove della vita. Massima tensione, occhi puntati, adrenalina, tifo accanito, tutto fa crescere. E guai a trascurare ogni piccolo dettaglio. Anche quello di non prendersela per qualche errore veniale. Si vive il tempo della partita alla velocità della luce. Alla fine, saranno passati solo 90’, la durata di un pranzo o di una digestione, ma concentrati al massimo, per dare a se stessi e al reparto, tranquillità, fiducia e supporto. Caro Nicolò, continuiamo a imparare da tutto, dalla panchina al campo, su su fino alla vita. Quando un portiere sbaglia il meno possibile e riesce, come è successo ieri sera a Cittadella, a fare delle parate strepitose, è proprio una bella soddisfazione. Soddisfazione per lo Spezia che finalmente vince una partita in un campo tosto, grazie a due gol di uno strepitoso Gilardino, e soddisfazione di padre nel vedere un Nicolò presente, attento e murato.
Che dire, il risultato non è mai così bello come quando si può giocare in uno stadio e uscirne felici. Cosa vorrebbe uno schermidore a ridosso di una gara importante? Probabilmente essere tranquillo e consapevole dei propri mezzi, tirare bene e avere un po’ di fortuna.
E fin qui tutto bene. Ma quando si va a scavare un po’ cosa emerge? Una specie di appagamento incassato per metà i giorni prima della gara. Un misto tra ‘non mi aspetto niente e vorrei vivere momento per momento. Quello che viene va bene’. Cosa non vorrebbe, invece, il nostro protagonista? Agitarsi prima della gara, pensare di andar male, percepirsi inadeguato, sentirsi inibito, provare il dolore anticipato di una potenziale delusione. Dato che le ultime gare non sono andate benissimo, il nostro big mette giustamente in atto delle strategie compensatorie. Si gratifica anticipatamente pensando di aver fatto del proprio meglio per gestire gli stati emotivi, la tecnica e la tattica di gara, con uno spruzzo di mindfulness: ’vada come deve andare, impariamo dall’esperienza!’. Qual è il problema? In pratica, quello che viene bene in allenamento, non viene bene nel periodo pre-gara e nemmeno in gara. Quella condizione necessaria di centratura emotiva, concentrazione mentale e fluidità corporea, si disperdono. Per allenarle occorre agitare le acque quiete, avendo in mente l'dea di una ‘tranquillità rapace’, un pensiero quotidiano alla gara, sognando la competizione, se occorre, e un convincimento: ‘vincere’. ‘Anche se va male, anche se sto male, lo faccio andare bene, voglio vincere!’. E cosa può aiutare in pratica? Tirare su i colpi di base, la posizione di guardia, lavorare sulle carenze e tirare con qualcuno che abbia voglia di fare altrettanto, con metodicità. Tirare con grinta, dunque, e andare in gara con determinazione. Non con ‘tranquillità’, ma con ‘tranquillità predatrice’, non ‘tirando con paura’, ma ‘tirando con passione’, non con un atteggiamento ‘passivo’, ma con la ‘testa a pieno regime’. In conclusione, anche a noi normali, non accade di gratificarci con pensieri compensatori di pseudo tranquillità, allo scopo di evitare un blocco emotivo o una delusione? Non sarebbe più opportuno predisporre una ‘determinazione vincente per non perdere la testa e procedere fino alla fine?’. Quando partecipiamo ad una gara, quello che ci rende umani è la straordinaria capacità di commettere errori e cedere alle tentazioni/abitudini mentali e fisiche. Così, invece di essere concentrati fino alla fine della gara e con il corretto atteggiamento, si perde di tono. Dopo un paio di errori ci si innervosisce. Se si eccede nella sicurezza delle proprie aspettative, subentrano timori, paure e pensieri negativi. Se si sbaglia a ripetizione si diventa ciechi tatticamente e strategicamente. Insomma si perde, non solo con l’avversario, si perde soprattutto con se stessi. C’è chi non sa semplicemente dire ‘no’ alle proprie debolezze, al giudizio degli altri e alle circostanze. Eppure, è una qualità che si deve allenare. Si tratta di bloccare atteggiamenti e comportamenti automatici, riflessi e quasi compulsivi, che non ci accorgiamo di avere. Riflettere prima di agire e rimanere concentrati, viaggia sul binario della consapevolezza e dell’assertività. In tal caso serve educare le emozioni e venire a patti con l’intelletto. Si devono vincere quegli automatismi che si possono controllare, monitorare e dominare, pensando attentamente a quello che si fa. Questo non significa essere ottusi e perdere di vista la propria istintività e creatività, occorre trovare le chiavi del corretto autocontrollo. E mantenerlo. Opporre resistenza alle ‘imperfezioni’, che nel momento della gara non si riescono a correggere, comporta uno spreco di energia che può essere impiegato in modo più utile. Pena la frustrazione. Occorre accettarsi invece per quello che si è, senza voli pindarici, perché la battaglia vera è un’altra. Cadere nella trappola dei propri difetti è fin troppo facile. Perdere con delle scuse che si possono gestire, è troppo comodo. Non si può avere frutti senza radici o risultati senza impegno. Per vincere occorre la sequenzialità della padronanza di se stessi e dell'autodisciplina. L’autodisciplina consente di andare qualche metro avanti sulla pedana e superare il peso negativo che talvolta lo scoraggiamento comporta. Non serve abbattersi al primo scoglio, serve mantenere il giusto atteggiamento, la concentrazione, la vigilanza su di sé e della proprie azioni e reazioni, e si hanno le chiavi per il controllo dei propri pensieri. Che dire, 'in bocca al lupo atleta, la vera gara è con te stesso'. Abbiamo visto che ci sono tre forme di respiro che definiscono la respirazione cosiddetta consapevole: la respirazione connessa o energetica, diaframmatica e associata alle tecniche cognitive. Ovviamente in tutte e tre le modalità avviene qualcosa di cognitivo. Infatti, in ogni respiro consapevole, per definizione, è coinvolta l’attenzione, la memoria e il pensiero, in vari gradi. Oggi mi soffermo sul respiro combinato ai processi e alle tecniche cognitive. In ogni respiro si attiva una sequenza di eventi che si manifesta come contenuto di coscienza. Questi costrutti sono informazioni che provengono da varie fonti e che noi elaboriamo in sofisticate relazioni. Da questi raffinati intrecci, nasce la correlazione tra respiro consapevole e tecniche cognitive. Esse riguardano il: - respiro percettivo (come accade nel Training Autogeno, per il controllo delle sensazioni corporee), - respiro immaginativo (come capita nel Training Mentale, dove l’immaginazione è il prodotto del movimento in atto), - respiro simbolico (come avviene nelle Fantasie Guidate, dove l’immaginario viene analizzato nella sua struttura interiore), - respiro concettuale (come capita nella preghiera, dove la parola accompagna rappresentazioni e simboli); - respiro finalizzato (come succede nel ragionamento e nel problem solving, dove un problema trova nel movimento una sua risoluzione). Anche un pugile che colpisce un sacco può essere un buon esempio di utilizzo cognitivo della respirazione. La sequenza in questo caso diventa respiro, postura, movimento, suono della voce, messa a fuoco o scarico mentale di determinati contenuti psichici. Cosa significa allora respirare di concerto con i propri processi cognitivi? Significa che quando prevalgono sensazioni vincolanti, emozioni diffuse e pensieri rimuginanti, cioè stimoli invalidanti per qualsivoglia prestazione, il respiro associato alle tecniche cognitive controlla proprio questi stati disfunzionali. I benefici riguardano il controllo degli stati interni e l’attivazione virtuosa delle attività mentali superiori. Come si concretizza questa associazione? Attraverso la pratica mentale del decentramento, tramite un atteggiamento non giudicante e una maggiore comprensione e insight dell’esperienza. Queste attività mentali superiori innescano uno stile respiratorio ‘meno difensivo’ rispetto alle condizioni del corpo, delle emozioni e della mente. In pratica, respirando in modo consapevole, da una parte si migliora l’apprendimento di nuovi pattern di azione e reazione rispetto al vissuto corporeo, dall’altra, la memoria viene sempre meno influenzata da fattori emotivi ed emozionali, e la mente è facilitata a vivere le cose per quello che sono, potendo stimare il momento presente in modo più completo, profondo e appagante. La respirazione è un atto generativo che accompagna l’ossigenazione, il metabolismo, il suono, il movimento, l’emozione, il pensiero, il comportamento. Tutto ciò che ci riguarda come persone è realizzato nei suoi intervalli: l’aria entra, l’aria esce e tutto prende forma. Abbiamo tre elementi che costituiscono l’essenza di una respirazione consapevole. 1. La respirazione connessa, anche conosciuta come respiro energetico. 2. La respirazione profonda o diaframmatica. 3. La respirazione combinata alle tecniche cognitive. La consapevolezza di come si respira è essenziale nelle fasi di recupero e di rilassamento dove l’attenzione ne amplifica gli effetti benefici. Si respira in modo circolare, triangolare, quadrato, con pause o senza, con ritmi diversi, ma lo scopo è sempre lo stesso, esercitare la consapevolezza, l’attenzione e il rilassamento, e dilatare la percezione del corpo e delle sue potenzialità. Gli effetti positivi del respiro consapevole riguardano la pulizia e nutrimento del corpo, la capacità di respirare pienamente e liberamente, di rilassarsi e integrare le proprie esperienze sportive. Il valore del respiro consapevole si evidenzia nella gestione delle tensioni muscolari eccessive, in particolare quando vengono portate a consapevolezza e rilasciate, e quando ciò consente alla mente di restare focalizzata sul corpo e sui gesti da compiere. L'efficacia del respiro consapevole si rileva in condizione di tensione e ansia, perché aiuta l’atleta a gestire al meglio le condizioni psicofisiche in relazione a ciò che accade e alla performance che intende perseguire. Un respiro ben eseguito è lo starter per ridurre lo stress durante la gara, ma più in generale attiva un processo psicofisico positivo, favorisce un migliore controllo sulla situazione agonistica, permette di contenere gli impulsi e di rimanere mentalmente flessibili. Respirare consapevolmente è un guida in parallelo dell’attività mentale, è la sua interfaccia, e consente di eliminare i pensieri inutili e porre l’atleta nella condizione di orientare la propria attenzione sugli elementi significativi della prestazione e di prendere le decisioni più appropriate. Tra le abilità che distingue un atleta dall’altro c'è senza dubbio la gestione della gara. A parte le doti naturali, ciò che distingue un atleta dall’altro, nel dare il meglio di sé in una gara, è tra chi ha un piano e chi no. Un piano da seguire scrupolosamente. A cosa ci riferiamo? In generale, all’organizzazione pratica di una borsa attrezzata, all’eventuale viaggio e al possibile pernottamento, ma in particolare a un piano per la giornata della gara, alle routine di riscaldamento e alle pratiche pre-esibizione. Quando e a cosa serve avere un piano per la gara? Serve, innanzitutto, prima delle gare, perché comprende la preparazione fisica e mentale; giova, in particolare, durante la sfida vera e propria, perché aiuta a mantenere salda la concentrazione; e consente di rimanere centrati quando subentrano le complicazioni tipiche della competizione. Avere un piano per la giornata della gara è più di una cornice, è un vero e proprio sostegno preventivo all’azione. La pianificazione della giornata di gara comprende diversi modi di gestire lo spazio, il tempo e le energie a disposizione. Con un piano in mente, si sceglie quali pensieri e stati d’animo focalizzare, si decide con quali persone passare il tempo e condividere i consigli dell’ultimo minuto. Il tutto, con lo scopo di mantenere la concentrazione durante le prove, gestire il tempo durante le fasi di attesa e recupero, e preparare piani alternativi in presenza di eventuali imprevisti. Come ad esempio l’interruzione o lo spostamento di una prova. Anche le routine, prima di una gara, e le stesse fasi di recupero, vanno pianificate. Tutte le fasi, vengono calibrate e dosate per prevedere di recuperare energie fisiche e mentali e mantenere un ottimale livello di attivazione al culmine di ogni prova. Cioè quando serve. La disciplina della pianificazione, trova il suo apice quando si è a ridosso della gara e mancano pochi attimi alla stessa. La routine che accompagna questa fase pre-esecutiva, ha lo scopo di permettere all’atleta di essere concentrato sul ‘qui e ora’ della realizzazione in maniera totale. Tutto si consuma in attimi o secondi. I pensieri e le emozioni sono l’espressione di pochi movimenti e suoni: ‘un due tre e… salto’; ‘tre passi indietro e ... vai’; ‘un’oscillazione del corpo e … tatata’; ‘una certa qualità del respiro e … tuffo’. Sono molti i modi con i quali ci si prepara. Gli sport sono diversi e ogni atleta ha le sue routine, ma una cosa sembra fare la differenza tra gli atleti: la capacità di programmarsi mentalmente. In gara, dopo aver eseguito qualcosa che ha vissuto nella mente e nel corpo migliaia di volte, avrà la possibilità di agire in sintonia con tutto se stesso. Le ricerche ci hanno mostrato in diverse occasioni che un atleta che abbia una visione positiva è quello che generalmente raggiunge migliori risultati. Negli studi sull’impotenza appresa, M. Seligman (studioso del pensiero positivo) ha messo in guardia sull’ottimismo ottuso (lo ha definito ingenuo e talvolta pericoloso), ha valorizzato l’ottimismo realistico (basato sui fatti) e ha evidenziato cosa succede ad essere pessimisti: pessimismo appreso (anticamera della depressione). Seligman ha notato che per essere pessimisti bisogna impegnarsi su quattro fronti: avere la tendenza a pensare che le cose negative sono permanenti; che la negatività fa parte di una condizione emotiva pervasiva; che la causa della negatività siamo noi e che i problemi sono pesanti, con un peso specifico molto alto. Tipo piombo per capirci. Per essere positivi allora occorre fare qualcosa di completamente diverso che non sia adottare un ottimismo ottuso (credere fino alla morte), un ottimismo realistico (credere solo ai fatti) o a un pessimismo appreso (credere che nulla cambierà). Occorre pensare alle esperienze e a se stessi con più flessibilità e maturare la convinzione che le cose cambiano, che non è tutto bene o male, bianco o nero, che molto dipende dalla nostra responsabilità e che ci sono cose ben più gravi nella vita. Essere ottimisti, pertanto, è una prerogativa del pensare positivo: è la capacità di esercitare l’arte della fiducia, dell’aspettativa realistica e della speranza. Nello specifico, un atleta che pensi positivo riesce ad attribuire dei significati non definitivi a ciò che gli accade, con un vantaggio strategico formidabile che gli consente di ’digerire’, con più prontezza, delusioni, sconfitte e difficoltà agonistiche. Pensiamoci bene, il pensiero orientato alla percezione di ciò che funziona, che cerca il bicchiere mezzo pieno e ne vede il vetro, che guarda avanti e confeziona il suo futuro o che cerca di spiegare gli eventi in modo vario e creativo, è un toccasana per l’algoritmo cognitivo di ogni atleta e squadra. Consente di interpretare gli insuccessi in termini di impegni insufficienti o di scelta strategica sbagliata, ma non di scivolare su qualsivoglia ‘mancanza’ di: abilità, competenze o fortuna. Ogni atleta che voglia eccellere deve adattarsi agli allenamenti e alle sfide agonistiche con efficacia e qualità, sia a livello fisiologico che comportamentale, sia a livello emotivo che cognitivo. L’efficacia è determinata dalla sua capacità di concentrarsi e di adattarsi ad allenamenti e richieste stressanti, e la qualità è definita dalla sua capacità di reagire ai momenti difficili, con la convinzione di poter affrontare qualsiasi competizione con successo. L’allenamento mentale, che passa dal rilassamento alla centratura psicologica, dalla simulazione di una gara all’accettazione dello stress agonistico, ha nella capacità di concentrazione la sua massima espressione. Rimanere concentrati, capaci di ri-focalizzarsi dopo un errore ed abili ad evitare distrazioni, sono qualità preziose della meditazione che vanno esercitate. La concentrazione si allena su ogni aspetto della preparazione sportiva e nasce da una combinazione di attenzione, fiducia e motivazione. Sul piano psicologico, si applica alla visualizzazione, alla messa a fuoco di un dettaglio personale o ambientale o ad un insieme di agganci psicologici come scene naturali, oggetti, abbigliamento o gesti rituali. Si utilizza per potenziare la componente sensoriale dell’immaginazione e riuscire a percepire le condizioni del corpo momento per momento. Oppure, si possono rivedere mentalmente le scene agonistiche per riviverne sensazioni ed emozioni. la sfida di ogni preparatore e di ogni atleta è quella di riuscire ad adattare la concentrazione al miglioramento della propria disciplina. Essa riguarda la continua ricerca di un equilibrio tra sensazione, azione, reazione e nuovo apprendimento. l risultato positivo di un allenamento mirato si chiama ‘centratura’ ed è la capacità di far coincidere la presenza mentale, con il gesto sportivo e la convinzione di riuscire nel compito. La centratura va calibrata nello spazio (corpo e ambiente), nel tempo (che deve essere strettamente connessa alla prestazione) e nell’erogazione dell’energia (che deve essere regolata). Si deve interfacciare con la personalità unica e speciale dell’atleta e accordarsi con la sua consapevolezza (che va dal respiro alla gestione della gara nel suo insieme). L’acronimo di tutto questo, per quanto mi riguarda, si traduce nella formula ‘S.T.E.P. Consapevole’. Il Training Mentale si dice ‘Avanzato’ quando è disegnato sulle necessità tipiche di ogni disciplina sportiva. Negli sport di resistenza, dove serve gestire la fatica e i momenti critici, ad esempio, occorre avere una notevole consapevolezza delle sensazioni corporee. Negli sport di precisione, dove serve attenzione e velocità di esecuzione, è opportuna una accurata concentrazione sulla tecnica. Negli sport di velocità, dove è essenziale una concentrazione totale per tutta la gara, è utile gestire l’impulsività. Negli sport di coordinazione, dove è necessaria l’accuratezza e la precisione dei movimenti, serve il controllo sulle sequenze dei movimenti e la capacità di gestire gli inevitabili errori. Negli sport di combattimento, dove è rilevante la reattività fisica e mentale, vale la presenza di sé in gara e la capacità di prevedere e anticipare le mosse dell’avversario. Negli sport di squadra, dove è necessaria la collaborazione e il rispetto dei modelli di gioco, è utile il pensiero tattico, il tempismo e la concentrazione. Una volta stabilite le implicazioni della disciplina, insieme alle esigenze dell’atleta o della squadra, l’allenatore, il coach o lo psicologo, sono pronti per progettare le abilità specifiche da sviluppare. Insieme all’atleta o alla squadra, il preparatore individua gli obiettivi di apprendimento, determina le mete sportive da perfezionare e precisa le performance agonistiche che verranno cercate. Tutto questo prende il nome di ‘goal setting’ ed è la fase nella quale, trainer e atleta, stabiliscono gli obiettivi. Per evitare la vaghezza e la genericità degli approcci entusiastici, il preparatore dovrà condividere in modo dettagliato, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, dichiarando e chiedendo con fermezza, partecipazione, condivisione e impegno. In fase avanzata, inoltre, sarà utile definire quali saranno i parametri che indicheranno che gli obiettivi sono stati raggiunti. E va da sé che non potranno essere solo criteri di performance o di vittoria, bensì anche di gestione dello stress, di impegno, di concentrazione o di atteggiamento alla gara. Imparare a imparare, e cioè imparare dalla propria esperienza pratica, è una competenza metacognitiva. E’ una meta abilità fondamentale che fa emergere le capacità necessarie a svolgere un compito al meglio. Cosa significa metacognitiva? Che quello che si sperimenta diventa oggetto di riflessione, applicazione e apprendimento. Si apprendono consapevolmente i comportamenti più idonei, si adottano le strategie più flessibili e si impiegano le abitudini più utili ed economiche per un determinato compito. Si sviluppano le performance cognitive e si migliora il senso di responsabilità in merito al proprio apprendimento. Nello specifico, parlando di allenamenti, l’apprendimento riguarda le capacità di prevedere, pianificare, controllare e valutare le azioni da compiere più appropriate. Imparare ad imparare, per un atleta, significa correggere costantemente gli errori ed esercitarsi ripetitivamente per un numero di ore elevato, sino al raggiungimento di un’esecuzione ottimale. Un allenamento ideale avviene quando concorrono virtuosamente le seguenti condizioni: l’atleta è motivato e concentrato, sta svolgendo un compito ben preciso e appropriato al livello di difficoltà, e riceve feedback che lo aiutano ad affinare le abilità e a correggere gli errori prima di spostarsi a un compito successivo. Quando gli allenamenti però diventano noiosi, ripetitivi e poco motivanti, l’atleta deve mettere in campo qualcosa di più e cioè la sua volontà. E’ qualcosa che si impara fin da giovani ed è la capacità di calibrare e dare significato a un impegno per un beneficio futuro. Tutto questo riguarda la padronanza personale, il senso di autoefficacia e quella capacità, che non è mai scontata, di valutare correttamente e di far coincidere l’impegno con il risultato. Imparare a imparare matura nell’atleta il senso dell’autonomia, della disciplina e della collaborazione, ma soprattutto gli permette di dare spazio, tempo, fiducia e quindi ‘stoffa e forma’ ai propri talenti. Quando un atleta è cosciente del suo dialogo interno e gestisce i suoi pensieri, agisce sulla matrice della propria autostima. Il controllo dei pensieri, soprattutto quelli negativi, come sappiamo hanno un’enorme influenza sullo stato d’animo e di conseguenza sulla prestazione sportiva. Lasciarli andare liberamente quando la tensione è al massimo, o quando i fantasmi arrivano alla mente o le paure sembrano all’incrocio di ogni pensiero, è frutto di una guida mentale capace di frenare le azioni impulsive e di impedire i pensieri distruttivi. Come si migliora pertanto il dialogo interno? Come si riesce a farlo diventare uno strumento motivazionale, quando negli allenamenti subentrano noia, fatica e ripetitività? Con quali frasi si riesce a dirigere l’attenzione su atteggiamenti positivi e costruttivi? Occorre sviluppare delle strategie di pensiero e di dialogo interno positive, con la fiducia di chi mette le parole nel salvadanaio. I feedback sull’efficacia di un dialogo interno positivo non sono mai immediate o a breve termine, ma sono come l’acqua per una pianta. Bisogna lasciare che il tempo e la qualità delle parole facciano il loro corso. Pensiamo ad esempio a queste frasi di incoraggiamento: ‘sono pronto’, ‘sono carico’; ‘sono quà’, ‘penso a ciò che sto facendo’; ‘so reagire alle difficoltà’, ‘ho sopportato cose peggiori’; ‘vedo e penso positivo’, ‘penso al risultato’, immagino e zoommo sulle immagini di vittoria e le sensazioni positive’; ‘sento il corpo che reagisce’, ‘sento l’energia’. … Sono sicuro che tutti pensiamo ’wow, sono importanti, vale la pena ricordarle e ripeterle! E’ proprio vero, sono notevoli! Ma pensate adesso di ripeterle riflettendo sulle frasi che vi risuonano maggiormente (rilevanza), vi motivano (impegno), vi monopolizzano (concentrazione) o vi fanno star bene (piacere). Oppure adottate alcune strategie percettive che ne aumentano la qualità, il tono, l’intensità, la cadenza, la modulazione o l’espressività. Ebbene, tutto questo, nel dialogo interiore, diventa il prodotto di affermazioni mentali che non solo controllano i pensieri negativi e le emozioni sottostanti, ma li ridefiniscono e li trasformano in pensieri che rafforzano all’un tempo sia le competenze sportive che l’autostima. Un atleta, per definizione, è l’esperto di quella catena di eventi psico-biologici che, nell’agire sportivo, coinvolgono sensazioni, movimenti, emozioni, immagini e pensieri. In modo del tutto naturale, ma spesso ignorandone appieno l’utilità, un atleta è in grado di immaginare l’esecuzione di un gesto sportivo e di allenarlo spontaneamente. Nel suo agire polisensoriale, l’atleta pratica l’immaginazione mentale istintivamente, ma spesso senza riuscire a parlarne in modo dettagliato o a utilizzarla in modo focalizzato, efficiente e ripetuto. E questo è l’aspetto che mi preme sottolineare. Un atleta è da una parte un ‘ricercatore’ che percepisce e influenza le proprie sensazioni, emozioni e pensieri con lo scopo di controllare la fatica, vigilare sugli gli errori e resistere alle difficoltà, dall’altra è alla continua ricerca di feedback esperti, per aggiustare azioni e reazioni. Il punto critico allora è: ‘con quale attenzione, presenza e consapevolezza, avviene tutto questo e in che modo l’immaginazione serve a raggiungere risultati significativi?’ Quello che gli atleti fanno empiricamente e che le ricerche confermano da ormai molti anni, è che l’immaginazione, se ripetuta mentalmente, svolge la funzione di stimolo sub-conscio e di indirizzo del comportamento. Più si allena l’azione immaginativa e più si consolida l’affinamento della catena psico-corporea: sentire-agire-reagire. L’atleta che già riesca a modulare l’impatto di sensazioni ed emozioni, autoregolando quelle spiacevoli e ricordando quelle piacevoli, è già in possesso di competenze fondamentali, ma con l’imagery ha la possibilità di compiere un deciso salto di qualità. Ma vediamo che cos’è l’imagery. L’esperienza dell’imagery è un processo quasi sensoriale e quasi percettivo che agisce sotto soglia ai processi coscienti. La coscienza interviene attivamente quando l’attenzione si focalizza su immagini generate, riprodotte e ripetute. Ed è in questo modo che l’imagery riesce a sollecitare sensazioni e comportamenti positivi e di successo. Come è facile intuire, per diventare abili nell’uso dell’immaginazione guidata è necessario diventare competenti di sensazioni e percezioni. E’ necessario essere coscienti di come l’attività mentale influenzi gli stati interni e i comportamenti. Ed è utile, inoltre, essere consapevoli che l’attività immaginativa stessa è antecedente e indipendente dalle condizioni oggettive di prestazione, ambiente e contesto. In pratica, ci si può allenare mentalmente anche a qualcosa di assolutamente innovativo, o complesso, a patto di agire ‘come se’, e cioè agire mentalmente come se un evento stesse accadendo proprio in quel momento. Generalmente si pensa che il rilassamento sia semplicemente un modo di lasciarsi andare al nulla, tipo sonno. Invece, il rilassamento che si applica nel Training Mentale, è un processo tutt’altro che passivo. Quando ci si rilassa e si riconoscono le tensioni o lo sfondo delle sensazioni sfavorevoli, lo scopo è sì quello di attenuarle e controllarle, ma è soprattutto quello di ridurre le emozioni che ostacolano l’apprendimento e le prestazioni. Quindi, ci si rilassa non solo per ridurre le tensioni psicofisiche e favorire uno stato di calma, ma per imparare ad auto controllarsi. E cioè a mettere in onda pensieri e sentimenti adeguati alle attività da svolgere e a promuovere comportamenti più ‘efficienti’. Il rilassamento non è altro che un magnifico innesco per sviluppare qualità superiori, come la fiducia e la concentrazione, ed è soprattutto un percorso di educazione all'ascolto di sé. E’ un processo dove primeggia il ‘lasciarsi andare’, ma anche questo non è completamente passivo, perché bisogna ‘accettare’ di ‘lasciarsi andare’ e di ‘lasciar accadere’. Quindi, anche quando sono in atto tensioni o disagi, il ‘lasciarsi andare’ è un accogliere quello che c’è. Da quella pre-condizione, ci si apre a una condizione che è definibile come concentrazione - passiva. L’attenzione si dirige al corpo, che si può volontariamente tendere e rilassare, alle sensazioni del ritmo respiratorio e a brevi formule di rilassamento e guida. Queste variano a seconda della disciplina adottata. L’agire mentale è proteso al recupero energetico e il mantra è quello di ‘sforzarsi di non sforzarsi’. La ripetizione quotidiana della pratica del rilassamento, che consiglio di guidare con la voce interiore piuttosto che con l'ascolto di un’audiocassetta, diventerà un allenamento e un’abilità che servirà nello sport al duplice scopo di ridurre lo stress competitivo e le tensioni agonistiche più accese. Nella vita, invece, si tradurrà in centratura psicologica e i suoi effetti positivi si estenderanno a tutte le attività quotidiane. E’ uno stato dove l’energia si muove in presenza e in assenza di sé, a seconda di dove dirigiamo l’attenzione, ma è anche quel luogo dove la forza, la vitalità e le idee trovano il loro respiro primordiale. Un sistema educativo che si occupi di proporre programmi sportivi dove i ragazzi sin da piccoli si divertano muovendosi (6-9 anni), si allenino con partecipazione (9-12 anni); si preparino apprendendo abilità psicologiche di base (12-14 anni); lottino e imparino da situazioni gara (14-18 anni); ed eventualmente vincano dando il meglio di sé (oltre 18 anni), è la base irrinunciabile per pronosticare atleti che cercheranno per tutta la vita di utilizzare, trasferire e migliorare le loro abilità psicologiche in tutti i campi. Un ragazzo pertanto respira sin da piccolo, attraverso le pratiche del gioco e dello sport, quel clima psicologico che lo renderà pienamente idoneo a sfruttare al meglio le sue potenzialità interiori, anche se non ne è pienamente consapevole. E’ solo con l’avanzare dell’esperienza che imparerà cosa sia un allenamento mentale e come applicarlo. Condividendo con il suo preparatore o coach come gestire le tensioni, come simulare una gara, come parlare a se stesso o come accettare i suoi rivolgimenti emotivi, aprirà le porte all’espressione e alla conoscenza di sé. Addentrandosi in questo mondo, capirà che le abilità psicologiche rappresentano un tonico per la sua crescita. Se i consigli che riceverà saranno efficaci e cioè adatti alla sua età e maturità e gli esercizi appropriati, imparerà a rilassarsi e ad immaginare la sua prestazione. Rafforzerà gli apprendimenti accumulati e si rappresenterà le performance future, sempre più spesso, in uno stato di calma mentale . Ne trarrà giovamento il suo senso di padronanza e di autoefficacia. Non solo, individuerà e comincerà a sentire quella zona individuale in cui il suo funzionamento è ottimale e le sue sensazioni sono vincenti. Migliorerà le sue riflessioni sulle azioni sviluppando abilità di tipo cognitivo. Con il corretto atteggiamento alle competizioni, imparerà cosa significhi simulare una gara con tutte le variabili ed i possibili imprevisti. Maturerà la gestione e il controllo delle sue emozioni. Con l’accettazione delle fatiche e dello stress agonistico, conoscerà meglio se stesso, le proprie reazioni e il proprio valore competitivo attraverso il confronto con gli altri. Sperimenterà così cosa significhi avere una consapevolezza sistemica delle relazioni. Sarà vivo e fragile a un tempo, forse sarà un atleta con i fiocchi, o forse no, ma si spera che sarà pronto ad erogare le sue risorse uniche e speciali: pronto, per dare in ogni momento il meglio di sé! L’allenamento mentale fatica ad essere percepito dall’atleta medio come un programma strutturato, al pari di un allenamento fisico e tecnico. Nonostante sia entrato nel linguaggio di una prassi comune (se ne parla molto in ogni ambiente sportivo), il mental training è utilizzato a spot, qualche tecnica qua e là, se ce n’è bisogno, e quando è proprio necessario, più che con regolarità. In questi ultimi anni è senza dubbio passata l’idea che migliorare le abilità psicologiche migliora le prestazioni sportive, ma quello che forse fatica ad entrare nella prassi quotidiana di una preparazione mentale di base è la continuità. I dati sugli allenamenti mentali protratti con continuità sono confortanti sia sulla prestazione che sulla piacevolezza, sia sulla soddisfazione sportiva che nella semplice attività fisica. E allora, perché non c’è continuità nell’allenarsi mentalmente? La risposta sembra essere l’imprevedibilità e l’incertezza dei risultati attesi. Mentre un muscolo o un comportamento può essere allenato con relativa efficacia e prevedibilità, agire su specifici tratti di personalità risulta un terno al lotto, sia per la complessità dell’individuo che per la difficoltà di prevederne le reazioni. Per questo motivo, le ricerche e le attività di addestramento mentale si sono indirizzate verso le situazioni competitive e le caratteristiche specifiche di ogni disciplina, piuttosto che sul carattere o la personalità dell'atleta. Di fatto, l'addestramento mentale è diventato ausiliario al raggiungimento di un risultato atteso, più che di un vero e proprio processo di automiglioramento personale. In pratica, ci si allena mentalmente se serve alla gara, se serve al risultato, ma non certo per un processo di crescita personale, l’unico che sarebbe in grado di garantire un allenamento continuativo al di là di uno scopo atteso’. E così, ci si allena mentalmente quando c’è preoccupazione nella gestione degli stati interiori e c’è ansia nell’affrontare prove e competizioni. Il fatto è che proprio praticando il training mentale con continuità un atleta è in grado di percepire e prevedere comportamenti idonei alle prestazioni e sviluppare le abilità necessarie che servono non solo per una gara, ma per una carriera e oltre. Si tratta ‘solo’ di allungare il tiro. Quando si parla di allenamento mentale nello sport ci si riferisce a quei metodi che permettono di integrare le tecniche di rilassamento e di immaginazione mentale (Imagery e/o training mentale) per la gestione dell’ansia agonistica, il miglioramento della prestazione sportiva e l’incremento del controllo sulle reazioni di stress. Si procede per gradi di apprendimento e consapevolezza e ogni stadio va provato, riprovato e interiorizzato. All’inizio, si allena l’atleta a riconoscere, al loro apparire, i segnali fisico-muscolari della tensione, attraverso un ascolto attivo degli stati interni e la relativa descrizione delle sensazioni, fino ad arrivare a percepirli e descriverli attraverso l’imagery. Cioè a rappresentarli visivamente e cognitivamente. Sensazione, immaginazione e descrizione, servono a creare un vocabolario di esperienze condivisibili e successivamente controllabili. In seguito si allena il rilassamento muscolare profondo con il metodo Jacobson (tendi e rilassa), con il Training Autogeno (controllo delle sensazioni), il Training Mentale (consapevolezza focalizzata e immaginazione), le Tecniche Respiratorie e di Meditazione … e altre. Lo scopo è quello di utilizzare le strategie più appropriate per eliminare al loro nascere le tensioni. Ci si allena mentalmente prima dell’allenamento, ma anche propedeuticamente fuori dagli allenamenti stessi, con lo scopo di affinare la sensibilità e il controllo che da muscolare, successivamente, diventerà anche emotivo e mentale. L’ulteriore sviluppo dell’approccio mentale riguarda la combinazione di un tipo di ripetizione mentale, denominata esperienza sintetica, che ha lo scopo di integrare la pratica visivo-motoria con il comportamento. Questa particolare pratica è articolata e molto importante. Serve per riflettere sugli allenamenti e le gare, per riconoscere gli errori che si commettono e per correggerli, per perfezionare i movimenti in funzione della gara, per allenare una nuova strategia, per temprare il carattere, per prepararsi alle parti difficili di una prova, per esercitare la fiducia e anche per migliorare la familiarità con le tensioni di una sfida. Va da sé che l’allenamento mentale è un processo integrato e non banale di quattro componenti che vanno assimilati: rilassamento, allenamento mentale ripetuto, rappresentazione simbolica, immaginativa e astratta (pensiero), e controllo e correzione dell’azione motoria. In che modo ritiene che un evento formativo in cui i partecipanti abbiano l’opportunità di sperimentare un’esperienza come la gestione della respirazione in modo professionale, possa essere funzionale nell’ambito di un contesto aziendale? Ogni contesto professionale ha dinamiche legate a spazi, ambienti e relazioni che fanno respirare non solo i polmoni, ma il corpo e la mente di chi ne è coinvolto. Non si respira solo per ossigenarsi, ma per calmarsi, per trasferire informazioni, per comunicare. E’ un insieme di processi percettivi, psicologici e relazionali di vitale importanza per poter dare il meglio di sé. Si respira con lo sguardo, con la parola, con i movimenti, con la postura. Ed è con questi ‘nutrienti’ che la mente è messa nelle migliori condizioni per realizzarsi in un progetto professionale. Occorre stare bene con se stessi, supportati da un respiro ‘guida’. Ci sono poche cose, come il respiro, che ci informano dell’armonia con ciò che siamo, con le nostre realizzazioni, con le nostre aspirazioni. Può un esercizio di apnea (per un manager per esempio) essere finalizzato a superare certe paure, come quella di esporsi o di controllarsi? Ci può parlare dell’individuo nel suo rapporto con l’acqua in relazione appunto alle paure da superare? Le paure sono legate a stati fisiologici e a reazioni complesse per la loro gestione. L'acqua è la metafora di un ambiente che rispecchia i nostri stati interni. Anzi li esalta. Va da sé che un manager, se ha la possibilità, immergendosi in acqua, di imparare da sensazioni, azioni e reazioni un migliore autocontrollo respiratorio e psicologico, può attivare con maggiore padronanza condizioni e strategie che lo possono aiutare nel suo lavoro. Questo è quello che verifichiamo costantemente nella relazione tra apnea e attività professionale. Quali sono le opportunità che consentono di risolvere problematiche aziendali se trattate attraverso questo format? Le problematiche aziendali sono legate alla produttività, alla comunicazione, alle dinamiche relazionali, alla gestione dello stress, alla capacità di attivare strategie vincenti e appropriate. In tutti questi ambiti, oltre a una capacità visionaria, è necessario attivare le proprie migliori energie, comprendere il proprio spazio interiore, gestire il proprio tempo. Le opportunità per integrare tutte queste ‘forze in gioco’, hanno bisogno di respiro, consapevolezza, strategie e buon senso. Ognuno ha bisogno di comprendere, al di là dei propri ruoli, il disegno che sta incarnando. E non c’è niente di meglio che immergersi in acqua, senza respiro, nel proprio mondo intimo, per aprirsi a un mondo che ogni volta è nuovo come quello che si osserva quando si lavora. Perché funziona per una strategia aziendale? Le strategie aziendali sono in moto perpetuo alla ricerca di ciò che funziona, di ciò che crea valore, di ciò che risolve. Il primo attore è sempre la persona che insieme al gruppo, alle idee dominanti e ai progetti condivisi, cerca il modo migliore di dare forma alla realtà, ma è la conoscenza, la creatività, la collaborazione, la gestione di se stessi che creano il contesto ideale per una efficace operatività. In un’azienda c’è sempre chi emerge meno di altri, per paura magari di compromettere certi equilibri. Controllare la respirazione può aiutare a far venir fuori qualcosa di più? Il respiro controllato è un tentativo, non sempre efficace, di riuscire a stare, di contenersi, di evitare, se occorre, di gestire lo stress. Pertanto, imparare a utilizzare il proprio respiro consapevolmente significa avere possibilità di scelta, di metabolizzazione, di azione. Non è poca cosa, appoggiarsi al respiro del corpo per dare respiro alla mente, alla ragionevolezza, alla buona pratica. C’è sempre qualcosa in noi che bussa e che chiede un nuovo respiro in quello che facciamo. Quali format proponete? Tra le nostre tipologie di intervento proponiamo corsi interaziendali aperti a tutti con formazione in alberghi termali, modellando le specifiche esigenze della committenza (ad esempio, coaching, counseling, ascolto empatico e suggestivo, training psicocorporeo, training mentale e apnea). Dal sito www.stepconsapevole.com, si possono desumere le informazioni sulle tematiche dei corsi, le date e i luoghi di svolgimento e tutte le novità a nostra disposizione. Nella sezione "contatti" si possono richiedere informazioni o consulenze. Quanto dura e come viene strutturato? Un corso può variare da un giorno a un finesettimana, a più WE a seconda delle esigenze formative. Quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere? Lo dico con una battuta: ‘dal vivere bene il proprio lavoro, qualsiasi cosa accada, al mestiere di vivere’. |
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