E’ la concentrazione il muscolo dell’attenzione. E’ per eccellenza il processo psicomotorio dell’attenzione cognitiva, attiva e volontaria, che si focalizza su un determinato stimolo. E’ l’evoluzione psicologica naturale di tutte le forme di attenzione passive e spontanee di cui ci serviamo per sentire, agire e reagire agli stimoli comuni. La concentrazione è la capacità allenabile di mettere a fuoco certe cose e di escluderne altre. Esempi contrapposti riguardano la capacità di rimane focalizzati sul compito nonostante l’ambiente sia rumoroso e, di contro, correre con le cuffie, fare streching mentre si guarda la televisione o pensando ad altro, con una concentrazione parziale. L’applicazione della concentrazione è la premessa di ogni nostra facoltà superiore: pensiero, memoria, ragionamento, ideazione, immaginazione, creatività. L’attenzione è dinamica, si sposta continuamente da un oggetto all’altro, dal corpo, alle cose, al mondo circostante, ed è nella sua natura divagare, ricordare, anticipare. Il suo continuo moto ci dà una prospettiva e genera un senso di continuità. Questo flusso di informazioni è ben presente nella coscienza di ognuno e favorisce la visione particolare o la prospettiva globale con la quale ci concentriamo di volta in volta su idee e azioni. E’ a questo punto che lo sportivo si rende conto che la concentrazione è a tempo ed è orientabile, allenabile e controllabile solo su pochi temi alla volta. Per un atleta, avere una buona concentrazione significa gestirne i livelli di attivazione e imparare a realizzare, come conseguenza, le sue ‘peak performance’. Significa controllare i processi psicomotori del pensiero, instradare l’attenzione sul compito che sta svolgendo e realizzare tre cose specifiche: selezionare gli stimoli da focalizzare (filtro); dirigere l’attenzione al momento opportuno (timing); e mantenere l’attenzione sugli stimoli rilevanti (resistenza). Il trucco consiste nell’acquisire un ritmo mentale e cioè riuscire a riportare l’attenzione sullo stesso argomento, ogni volta che la mente divaga: quando si sintonizza con quello che vogliamo escludere e quando esclude ciò su cui ci sintonizziamo. E’ una questione di allenamento, bisogna prendere la sana abitudine di riorientare i sogni ad occhi aperti e le distrazioni, a ciò che si sta facendo. Piano piano, i muscoli mentali cominceranno a flettersi e gli scopi che ci siamo prefissi saranno alla portata.
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Come si fa a liberarsi dall’attrazione magnetica dei pensieri di ogni giorno? Vediamo quattro suggerimenti per liberare la mente. Il primo suggerimento riguarda l’osservazione, un viaggio nelle sensazioni. Con il corpo abbandonato ci si lascia sopraffare da quello che c’è, pesantezza, distensione dei muscoli, respiro. Si entra, di respiro in respiro, in un flusso di sensazioni sempre più fini, in aree del corpo sempre più specifiche e si comincia a rappresentare e visualizzare il viso e il corpo intero. In quelle osservazioni c’è l’inizio di una meditazione profonda sul corpo fermo e senziente che, come una statua, vede fluttuare i pensieri come nuvole leggere. Il secondo modo riguarda il rilassamento fisico. Con qualsiasi metodo, sia esso training autogeno, mentale o meditativo, il compito è di essere ‘qui e ora’ completamente presenti dal punto di vista mentale sulle sensazioni fisiche del rilassamento. Se si riesce ad immergersi nelle sensazioni, a notare cosa sente il corpo in superficie e nell’interno più profondo, il pensiero comincia a rallentare e a cambiare direzione. Ci si concentra sui ritmi del corpo e i suoi significati mentre il respiro diventa regolare e profondo. Lo stato mentale si acquieta. Prima di un qualsiasi compito si deve pertanto rilassare il corpo, raddrizzare le spalle con il capo dritto, le braccia morbide ai fianchi, regolando il respiro al suo ritmo più naturale. La terza maniera riguarda il pensiero fluttuante. E’ la possibilità di liberare la pressione che spinge a seguire ogni pensiero che attraversa il cervello, liberi dal bisogno di intervenire su di essi. Ci si può inizialmente distrarre contando dei numeri al ritmo del respiro, immaginare la mente come un cielo pieno di nuvole che piano piano si dissipano, oppure sperimentare in maniera oggettiva le diverse sfumature ed i motivi di ogni idea (sono tutte tecniche di autoipnosi). Infine, il quarto metodo è quello di fare un elenco dei pensieri diventando consapevoli di tutte le richieste che arrivano. Si scrive in un diario tutto ciò che c’è nella mente: obiettivi a lungo termine, obiettivi a breve termine, desideri insistenti, cose che si vorrebbe dire, cose da fare, idee sui nostri molteplici interessi. Quando le richieste sono alla luce del sole, la mente è libera dalle cose superflue. Ci si può concentrare, si possono prendere decisioni, stabilire delle priorità e lasciare la nostra attenzione libera di tornare al presente. Pensiamo ad una cosa che ci dà fastidio e cambiamo canale. E’ difficile? E’ una delle cose più importanti per gestire l’ansia, un pensiero disturbante o per orientare l’attenzione su qualcosa di speciale. Se guardiamo le lancette di un orologio per due minuti abbiamo la possibilità di sperimentare quanto la nostra attenzione viene oscurata dalle distrazioni o, al contrario e più stentatamente, rimane centrata, fluida e focalizzata. Dobbiamo allenarla e abbiamo molte occasioni ogni giorno per poterlo fare. Impariamo quindi a fare una cosa mentre ne facciamo un’altra e impariamo a spostare l’attenzione quando è necessario. Rendendo più fruttuoso l’esercizio delle lancette, mentre osserviamo l’orologio e guardiamo la televisione o sviluppiamo un movimento, proviamo ad escludere gli stimoli superflui. Niente rumori, niente sensazioni. Niente di niente. In un secondo momento, proviamo ad essere attenti alle lancette e contemporaneamente alle nostre mani. Successivamente, contiamo dei numeri e cantiamo una filastrocca, e continuiamo ad osservare il moto delle lancette. Sono tutti esercizi che nelle attività lente come l’apnea, o in discipline più dinamiche come la scherma o il calcio, sono estremamente efficaci per imparare ad allentare le tensioni muscolari, a non dissipare l’attività posturale e a rendere economici i movimenti. In questo modo si allena la componente cognitiva dell’attenzione. Allo stesso tempo, anche il corpo ha bisogno di essere allineato. Quando ci concentriamo è necessario assumere una posizione che faciliti l’attenzione. Sia essa applicata al rilassamento, alla postura, ad un gesto tecnico. Se siamo seduti, stiamo seduti correttamente. Se siamo in piedi, stiamo in piedi senza oscillazioni dispersive. Concentrare l’attenzione è uno sforzo della volontà che ha bisogno di essere premiato con l’interesse per quello che facciamo. Va catturato! Ovvero, occorre nutrire l’attenzione con le emozioni. Significa stimolare la propria curiosità con la voglia di approfondire e indagare. E più si osserva, più si scopre l’insolito e ciò che stimola un ampliamento dell’attenzione. Si scopre ciò che è nuovo! E cosa c’è di nuovo in ciò che si legge, si osserva e si fa? Notiamolo! Più aspetti interessanti troviamo, più la mente si nutrirà di conoscenze fresche e originali che restituirà con un incremento di attenzione e con una organizzazione mentale più efficiente e organizzata. Cara atleta, grazie allo sport hai una grande opportunità: concentrarti su un mondo virtuale di regole per capirle e piegarle alla tua volontà. Lo sport è un gioco di forze dove, se trovi i tuoi limiti e li superi, ti confronti con gli altri per essere migliore. La prima cosa che alleni, oltre al tuo corpo e alla tua disciplina, è il modo speciale che adotti per concentrarti sulla realtà e modificarla. Questo è il primo passo, ma ce ne sono altri da compiere e ben più importanti e interiori: modificare e migliorare il modo in cui osservi la realtà. All’inizio, la realtà è la tensione agonistica con cui affronti una gara, la motivazione per i tuoi progetti e i miglioramenti concreti delle tue performance. Ma poiché non è tutto lì, ti affini. Scopri che per migliorare devi perfezionare la tua personalità, il tuo carattere, il tuo atteggiamento. Ti accorgi che per cambiare abitudini devi cambiare le tue risposte dentro ogni fibra muscolare, fin dentro le cellule del tuo corpo. Devi cambiare musica e fino a che non lo fai, non sai bene chi sei. Si, certo, sei sempre tu, le tue memorie, il tuo sentire, la tua intelligenza, ma c’è una profonda differenza che cominci forse ad avvertire. Anche se sei una campionessa hai bisogno di sapere chi sei! Come interpreti e interagisci con il mondo. Come lo percepisci. Come crei quella realtà che è il tuo sentire, grazie al quale codifichi il tuo potenziale di espressione e, come specchio, i tuoi risultati. Con la psiche, attraverso i pensieri e le sensazioni, agisci sulla tua realtà e la informi del tuo stato d’animo, stimoli delle informazioni di come il corpo si dovrebbe sentire. E’ il tuo specifico modo di osservare le cose. Qui sta la sfida. Quando vivi le tue percezioni e quando ti osservi, cambi la realtà e prepari un futuro desiderato. Agisci ‘come se’. Fai precipitare una realtà difettosa e ne crei una nuova. Osservando in modo cosciente le forze in campo, fai apparire la tua immagine della realtà e con essa la tua personalità e il tuo carattere, non come figure statiche, ma come accadimenti dinamici in fluttuante movimento. Il tuo modo di osservare diventa allora la realtà delle tue esperienze: le determini, le combini, le armonizzi. Osservarti da angolazioni diverse, diventa la tua gara. Scopri la differenza abissale che c’è tra il tuo essere una brava spettatrice di meccanismi ben allenati e una co-creatrice della tua realtà. Il modo in cui ti osservi cambia il corpo fisico e i processi della tua mente, cambia la coscienza che hai di te e della tua forza espressiva. Cambia tutto. Cambi te e cambia la realtà che concorri a realizzare. Come atleta apprezzabile hai il compito di cambiare prospettiva. Devi girare il cannocchiale per essere attenta a quel sentire profondo che ti aiuta a capire quanto sono illusorie certe realtà che riflettono solo in parte il tuo potenziale: le tue paure, le tue ansie, le tue indecisioni, le tue abitudini. Da quelle realtà devi ‘solo’ imparare, sapendo che sono lì perché hanno senso per te, ma non sono lì per sempre. L’attenzione è una risorsa mentale inconscia quando elabora in parallelo migliaia di stimoli in contemporanea. E’ una risorsa cosciente quando filtra le informazioni all’interno di un flusso percettivo. L’attenzione è una capacità cognitiva che assume diverse forme. E’ selettiva quando ‘filtra’ uno stimolo e ne tralascia altri, attraverso la preferenza e l’inibizione. E’ focalizzata quando si predispone ad uno stimolo in modo veloce, discriminante ed efficace. E’ alternata quando passa in modo flessibile da un compito all’altro. E’ divisa quando risponde in modo simultaneo a compiti multipli. L’attenzione passa dal ‘sono pronto’, all’analisi di uno stimolo e dei suoi significati, allo sforzo mentale, cosciente e volontario, di agire sul comportamento in atto. Per tutti noi è una risorsa fondamentale. E’ limitata e va riconosciuta ed allenata. Immaginiamo che uno sportivo abbia a disposizione 100 volt di attenzione, abbia tutta l’intenzione di usarla al meglio, ma non capisca come mai il suo rendimento non migliora. Quando si distrae o si preoccupa per qualcosa, quando il suo corpo è teso, perde il 25% della sua energia mentale. Se si annoia, se considera gli allenamenti un dovere e comincia ad avvertire l’inizio di un conflitto, altri 25 volt vengono risucchiati via. Immaginiamo che i pensieri comincino a distrarsi dal progetto e la mente rimugini su altre cose: un nuovo contratto, un nuovo futuro, un problema affettivo, etc. Mentre il progetto sfuma, altri 25 volt vanno perduti. Tre quarti se ne sono andati. Infine se immaginiamo che un piccolo infortunio, un mancato ingaggio o un non sentirsi in forma, un persistente rimuginio mentale perduri, può lasciarsi sfuggire tutta la concentrazione! E perdere di vista il suo progetto di vita. Per rimettersi in carreggiata occorre ‘scaricare la mente’ e cercare sensazioni di distensione e di benessere. Per cominciare, occorre lasciare andare i pensieri irrilevanti e rilassarsi profondamente. Caro atleta, l’invito che ti rivolgo alla fine di questo discorso è il seguente: ‘mettiti comodo … e riprendi in mano i tuoi 100 volt di attenzione!’ Il coach nasce come figura di ‘sergente’ che monitora il lavoro di atleti e squadre e li spinge a dare il massimo, fino a sputare sangue e a raggiungere traguardi impossibili. Il coaching che promuove l’eccellenza dei risultati, pertanto, non va troppo per il sottile e spinge al massimo tutti gli ingranaggi motivazionali per spremere un grande risultato da ogni atleta e da ogni ruolo professionale. Per lo sportivo, il risultato è vincere e in subordine, perdere bene facendo dei records personali. Per il professionista, il risultato è raggiungere degli obiettivi di valore. Per la persona, il risultato del proprio impegno, è quello di raggiungere uno stile di vita ecologico ed emotivamente soddisfacente. Adesso esagero. Un coach, per diventare tale e per essere eccellente, deve anche essere una persona speciale, capace affrontare i suoi demoni e limiti. In una visione positiva dovrebbe sentirsi parte di un gruppo di formatori di qualità (avere una chiara veste professionale. Se opera in palestra deve essere in tuta e se opera in azienda deve adottare un abito consono); dovrebbe avere conoscenze elaborate e programmi tecnici ben consolidati (scrivere articoli o realizzare un libro); dovrebbe essere riconosciuto dalla comunità sociale e dagli esperti del settore (avere un blog o un sito, scrivere su giornali nazionali); dovrebbe sfidare i propri limiti attraverso una o più discipline sportive (magari facendo una gara di maratona a piedi o in bici, un salto jumpy jumping, una esperienza nuova e sfidante); dovrebbe, infine, fare esperienze di sopravvivenza per imparare a muoversi in ogni situazione senza perdersi d’animo. E’ una forma di autostima tradotta in progetti realizzati. E' chiedere troppo? Un coach eccellente dovrebbe avere una formazione molto pratica e sfidante: identitaria, valoriale, progettuale, visionaria. A queste si aggiungono le attività tipiche della comunicazione pragmatica e del colloquio di coaching che sollecitano le qualità, le risorse e le capacità dei propri interlocutori (coachee). Quando queste capacità e competenze esperienziali diventano operative, ogni ambito professionale ne trae giovamento. L’esempio stesso del coach è una garanzia di raggiungimento del risultato e della ricerca del valore di un’azione o di un progetto. Qualcuno attraverso questa professione trova denaro, successo o prestigio, qualcun altro cresce attraverso i principi della sopravvivenza, si muove con l’orecchio nella pancia e stana le proprie paure. Prediligo i secondi, ma comunque sia, è una gran bella sfida per tutti. Ogni gara è fonte di nervosismo, tensione, ansia, paura, aspettativa. Nessuno è immune. C’è chi riesce a fare tesoro e quindi memoria di ogni duro allenamento, di ogni consiglio, di ogni obiettivo maturato giorno per giorno. C’è chi riesce a fare della professione di sportivo un nuovo apprendimento, una nuova materia dello sport e della vita: l’intelligenza agonistica. Ci si allena duramente con il preparatore sino a sentire la fatica come un gioco. Si raggiungono piccoli traguardi tecnici ogni giorno per nutrirsi di stimoli sempre nuovi e raffinati. Si seguono con meticolosa cura consigli, dieta, nuove abitudini e stili di vita, per sentire un mondo che calza in ogni suo aspetto. A dispetto dei km in giro per il mondo, dei ritmi di vita e dei pensieri fastidiosi. Nessuno è immune dalla tensione gara, tutti provano e cercano di dare il meglio di se stessi nell’atteggiamento, nella preparazione fisica e tecnica, nella dieta e negli stili di vita e si arriva là, all’intelligenza agonistica. A cercare quello che fa la differenza e che i grandi atleti sembra abbiano in un modo così naturale: motivazione, concentrazione, flessibilità, resilienza e strategie… una borsa piena di strategie. Ed ecco allora cosa significa ‘voglia di vincere’, decisione, convinzione, grinta, determinazione. Determinati alla massima attenzione e concentrazione, esperti di realtà che mutano ad ogni momento, capaci di riprendersi da ogni stoccata negativa, capaci di attivare strategie sofisticate di azione. Tutto questo porta a percepire con chiarezza, nel corpo, con le sue sensazioni ed emozioni; nei pensieri, che guardano il percorso della vittoria; nella voce interiore che dice ‘ce la posso fare’; un intimo radicamento di fiducia nelle proprie possibilità. La convinzione è nello sguardo e nella testa alta, la determinazione è nei movimenti fluidi e nei muscoli scattanti, la sicurezza è nell’estensione del proprio braccio e del proprio IO oltre la punta del fioretto. Oltre quella punta c’è l’avversario, la vittoria e la conquista di se stessi. La prestazione è il raggiungimento di un obiettivo desiderato e fortemente voluto. E’ l’insieme di azioni che porta un giovane sportivo ad andare ad allenarsi per 5 giorni alla settimana, due volte al giorno, per tutto l’anno, in giro per i campi gara a sudare per i risultati raggiunti, affrontando stati emotivi e incombenze da sogno, ma anche ansie e dubbi. La massima prestazione, però, non è la vittoria ottenuta a tutti i costi, ma quella che ti fa crescere perché hai impegnato il meglio di te stesso. Ti fa crescere la percezione dei dettagli e la visione generale delle cose. Ti fa maturare la fluidità delle tue azioni, gli automatismi che ti vuotano la mente e il pensiero e che ti consente di essere li, puntuale all'appuntamento delle tue potenzialità e performance. Se sei intervenuto sul tuo modo istintivo, sugli automatismi e sugli schemi mentali e ti sei allenato fino allo sfinimento su dettagli finissimi, sei diventato un super competente nella tua disciplina. Se hai allenato l’attenzione, hai capito come svolgere il tuo lavoro, vedi l’insieme dei tuoi obiettivi, osservi dall’alto il tuo ambiente, vedi il ‘tutto’ come un processo armonico. Hai esaminato ogni dettaglio, hai allenato le azioni più carenti, hai raggiunto, dopo una cura meticolosa e giornaliera, una assimilazione interiore di micro gesti e di brani di azione sempre più complessi. Nell’esecuzione delle tue performance la tua intelligenza si è espressa nella fluidità dell’azione stessa. Sei diventato quello che fai. Non sei più preoccupato di te. Sei preso dall’esecuzione e ne respiri l’odore. Sei dentro il tuo movimento e ne comprendi il raggio d’azione. Sei dentro di te e ti comprendi con una logica sistemica. Non dico che ti puoi sentire ‘online’, connesso alla massima potenza, ma in quel preciso momento, sei un’idea speciale che ha preso forma e si è realizzata. Ci dovrebbe essere una naturale continuità tra ruolo e persona e invece ci sono tante differenze. Il professionista è un freddo calcolatore delle proprie emozioni e sa contenerle e gestirle. Frenarle se occorre e utilizzarle a vantaggio del proprio ruolo. Lo sportivo medio, invece, per la sua giovane età, per gli ormoni che esplodono, per le emozioni orientate alla massima potenza, quando subisce un arresto o una sconfitta, non sa più valutare correttamente. L’altro, l’avversario che ha fatto meglio di lui o il collega che ha preso il suo posto, creano invidia. Il contesto e le critiche del pubblico, anche se si tratta solo di colleghi o spettatori tifosi, contaminano le scelte, i metri di valutazione ed i comportamenti. Se si ha successo, invece, si gode. Subentra la gioia maligna del successo personale a confronto della sventura altrui. In ogni caso è competizione. Diventa importante superare l’altro e gli altri. Non per fargliela vedere e togliersi, nel caso, qualche sassolino dalla scarpa, come Balotelli insegna. Ma per avere una prospettiva sana della competizione. La percezione del fallimento o del successo cambia molto in base all’effetto che suscita il confronto diretto con l’avversario e il pubblico, esperto o meno, che giudica. Il fatto è che ognuno di noi è estremamente vulnerabile alle proprie emozioni e basta una minima interazione, priva di elementi competitivi per far rabbrividire lo status, il proprio ruolo e l’immagine che offriamo al mondo. In pratica, siamo preoccupati di non dare una cattiva impressione di noi. Purtroppo, in una squadra questo meccanismo diventa che: ‘se perdi gioisco e se vinci non te lo faccio vedere, ma mi dispiace. Sudo perfino’. E non basta pulirsi la bocca con il ’sei un atleta professionista’, perché le vocine interiori non riescono a placare quel miscuglio di emozioni. E forse accade anche qualcosa di più scivoloso: il rimpianto della perdita diventa addirittura più forte della vittoria eventuale. Così vivendo, però, si rischia di non essere mai troppo felici, ne troppo scontenti. Si cercano gli avversari deboli per seppellirli e si gioca con il freno a mano con quelli forti. E allora viene voglia di dire: ‘senti, datti una mossa, prendila bene e pedala!'. TRAINING MENTALE E APNEA HEALING Ti stai domandando come puoi stare bene e affrontare con soddisfazione i compiti di ogni giorno? Allora ti invito a riflettere su alcune domande essenziali per la tua crescita ed il tuo benessere. Conosci il potenziale terapeutico della consapevolezza? Vuoi rimediare alle emozioni negative attraverso la gestione della tua intelligenza emotiva? Sai che le credenze sono idee forti che abbiamo appreso e sulle quali possiamo incidere con appropriati stati mentali? Ti interessa capire come agire e valorizzare le tue attitudini? Ti sei chiesto come sia possibile sintonizzarti sui fattori che determinano i tuoi comportamenti? Ti interessa comprendere l’architettura psicologica e gli strumenti che consentono di raggiungere i tuoi obiettivi? Hai mai pensato che la realtà sia un concetto relativo e in continua fluttuazione e che occorrono mappe appropriate per la sua lettura e determinazione? Hai mai preso in considerazione il fatto che allearti con la tua sensibilità corporea, emotiva, psicologica e relazionale rappresenti una vera e propria immersione nella delicatezza del tuo essere? Le potenzialità ci sono, l’X factor c’è, lo zucchero nel caffè ce l’hai messo. Adesso, come dice quel grandissimo campione di sport e di vita che è Alex Zanardi: ‘devi girare il cucchiaino!’. Vuoi vivere la tua vita? Vuoi dargli un senso? Vuoi sentire la tua energia in azione? Gira il cucchiaino! Mentre giri il cucchiaino, ti puoi anche distrarre, puoi girarlo in automatico, puoi anche girarlo piano, ma non troppo. Ad un certo punto devi annusare il tuo caffè, sorseggiarlo e gustarlo. Questa è la tua vita. Questa è la nostra vita. Questa è la vita di tutti. E’ un’opportunità, vivere la nostra vita, di tanto intanto apprezzarla e sentire quel meraviglioso caffè di sensazioni ed emozioni che quotidianamente sperimentiamo. Però bisogna girare il cucchiaino, anche lì. E il cucchiaino è la consapevolezza, la meditazione, il movimento, la volontà. Lo so, c’è un grande dibattito intorno ai concetti di libero arbitrio (concetto che ci ricorda che solo noi abbiamo le chiavi di casa della nostra vita. Solo noi siamo gli artefici del nostro destino. Solo noi siamo in grado di prendere delle decisioni, di agire e sorridere alla vita così come l’abbiamo determinata) e di volontà di potenza (concetto che ci ricorda, invece, quanto siamo soggetti alle pulsioni del rinnovamento, all’atto creativo e alle cose che ritornano nella nostra vita per educarci ad essere uomini che accettano il peso delle proprie umane condizioni). Che sia qualcosa che determiniamo, o qualcosa che, nel gioco incrociato di forze, ci supera e solo in parte dipende da noi, quello che dobbiamo sviluppare è un approccio culturale ai poteri interni di ognuno di noi e in particolare alla volontà. Di essere presenti a noi stessi: capaci di sentire cosa si prova, cosa si sente, cosa si pensa. E di valutare, in ogni situazione, come si vuole rispondere, in modo da non essere ‘vittime’ del proprio carattere, di comportamenti stereotipati o di presunte forme di istintività. Che dire di una scelta tecnica quando è suffragata dai fatti? Se il protagonista ha sbagliato, non da sicurezza, non da fiducia? E’ giusto, si cambia! Ma se gli errori non ci sono stati. Il gioco ha girato bene. L’impegno è stato massimo. Perché cambiare? Che dire, ancora, di una scelta tecnica basata su idee pre-campionato. Certo si ha bisogno di verificare sul campo la resa dei protagonisti. Forse si ha voglia di cambiare le pedine per coinvolgere tutti. Chi sa? Certo, a chi resta in panchina, anno dopo anno, viene voglia di dire qualche ‘no’, qualche ‘vaffanculo’ e forse anche, perché no, viene voglia di cambiare squadra. Certo, come un po troppo spesso accade, finisce una prova in gloria e ne inizia un’altra in bocciatura. Ma non è solo una questione di meriti. E' qualcosa di più ambiguo. Si scommette su parole dette e fiducia, che non sono mai state vere. Questo non va bene! E non fa bene! Quando si è messi da parte, in malo modo, è necessario ripartire dai fondamentali e sviluppare delle metodologie di competenza. Ripartire da se stessi, da quello che si sa fare e si è raggiunto, per appuntare, passo dopo passo, nuove soddisfazioni ad una vita agiata che è diventata un cammino sulle sabbie mobili, dove più ti muovi e più ti inabissi. Affondi dentro di te. Bisogna ritornare ai fondamentali delle unità di apprendimento e riprendersi in mano la propria vita: parlando chiaro, con un ‘profilo basso’ e prendendo atto che, star male, non ne vale la pena. Quando non si ha la fiducia, viene meno qualcosa di essenziale di sé. La propria immagine non carica più: né le motivazioni forti, né la voglia di infinito. A caldo, vengono messi in discussione i nessi, i volumi e le certezze della propria organizzazione di vita e nell'immediato rimane la fatica di gestire la frustrazione e la delusione. E’ lì che occorre prendersi il tempo per pensare, per parlare e per agire. Affrontando con coraggio tutte le possibili evoluzioni. L’immagine che lo sportivo ha di sé, è a specchi multipli e deriva da un processo in continua evoluzione. E’ il modo in cui si vede, è il modo in cui si atteggia, è ciò che pensa di sé. Di ciò che gli altri pensano di lui. L’immagine di sé è costruita sull’insieme di credenze e convinzioni in merito a se stesso, sulle caratteristiche positive e negative del proprio carattere. E’ soprattutto il modo in cui pensa di essere. Pertanto, la costruzione dell’immagine di sé, è un processo che procede a sbalzi come le stagioni, ma ha una stella polare da seguire. Ha un DNA potenziale che occorre riconoscere, attivare, realizzare. Il DNA dell’immagine di sé, è formato da un codice unico e irripetibile, un linguaggio cifrato che contiene l’essenza di una vita e di un destino. E’ un prototipo di insistenza, ostinazione, fedeltà. Nell’immagine di ognuno è, pertanto, attiva una sequenza di forze che guidano la vocazione, la motivano, la proteggono, e vanno realizzate. Un atleta può avere una immagine di sé più o meno positiva, può avere più o meno autostima, ma quello che conta per lui è riuscire ad identificare le proteine interiori che avverano la parte saggia di se stesso. Si vive con i sensi, si organizza la propria attività mentale con il ragionamento, si dialoga con il proprio inconscio attraverso le immagini e le emozioni, ma sono il sogno e la meditazione, che racchiudono tutte queste dimensioni e le attualizzano. L’organizzazione mentale è tutto ciò che un atleta ha per vedere, prevedere e creare se stesso in un nuovo ordine di pensieri. E’ attraverso l’attivazione dell’inconscio, degli archetipi e dell’intelligenza, che egli riesce a creare un nuovo assetto interno e a proiettare l’immagine di se stesso in un futuro da scoprire e costruire. Conoscere queste dimensioni di se stesso, significa accettare le regola del gioco di caso e necessità. Ovvero, significa partire dalla conoscenza di sé per rendere possibile l’espressione dei codici della propria intima natura. Dopo l'aggiornamento di febbraio 2015 sul Training Mentale, grande soddisfazione per le prestazioni della Nazionale Italiana di Volo a Vela ai Mondiali di Pociunai (Lituania).
Di seguito, la testimonianza del Dott. Luciano Avanzini (CT della Nazionale e atleta di grande valore della stessa) Ciao Lorenzo Piacere di averti risentito. Come da accordi ti giro un articolo apparso sulla rivista francese di volo a vela, e qualche foto di noi il giorno della premiazione. E’ la prima volta nella storia del volo a vela italiano che vinciamo sia l’oro individuale che l’oro a squadre (forse il lavoro che abbiamo iniziato insieme ad impostare inizia a dare i suoi frutti….) La rappresentanza era formata da: Luciano Avanzini (coach e team capitain) premiato per l’oro a squadre Stefano Ghiorzo (primo in generale) premiato per l’oro individuale Alberto Sironi (sesto in generale) Un abbraccio Luciano Avanzini In ogni pratica sportiva, l’atleta ha bisogno di un approccio sempre più psicologico. Ha bisogno di sostegno, ascolto empatico e coach che consentano di raggiungere e potenziare le proprie risorse. Di mentori che, tramite esempi diretti e comportamenti coerenti, stimolino la sua maturità e saggezza. Di strategie mentali appropriate. Le prime risorse di base, da acquisire e sperimentare in chiave psicologica per apprezzare tali contributi, sono il rilassamento, la visualizzazione, gli stati di trance e la meditazione. Queste pratiche, che potremmo riassumere in ‘forme di meditazione’, consentono di aprire una porta sull’inconscio e sugli aspetti latenti dell’atleta. Attraverso un semplice rilassamento l’atleta può sperimentare, in gradi crescenti, gli aspetti maturi della sua vita e le spinte a stare meglio, ma anche gli aspetti meno maturi e le sue resistenze. Quindi, cosa può succedere di vantaggioso durante un rilassamento? Che l’atleta comincia a osservare con maggiore consapevolezza le espressioni della sua mente inconscia. Comincia ad utilizzare gli strumenti della visualizzazione, dell’ascolto e del dialogo interno. Inizia a percepire equilibri tra le parti emotive e razionali. E, con la pratica, duraturi benefici nei diversi aspetti della sua vita e della sua personalità. Durante il training mentale, si sperimentano le dimensioni del desiderio e del bisogno, motivo per il quale rilassarsi è utile, ma si incontrano anche le dimensioni del buon senso e della saggezza, dove si avverte la complicità dei processi fisiologici più naturali. Si sviluppano parallelamente processi cognitivi evoluti come la decisione, l’intuizione, la creatività. Rilassandosi, non si evitano le perturbazioni del momento o le inquietudini per periodo, si sviluppa la consapevolezza quale risposta della propria intelligenza all’emergere di nuove complessità. Chi ce la fa non ha bisogno di fare provini. Messi, come tanti altri campioni, non hanno avuto bisogno di fare provini. I risultati hanno parlato per loro. Chi fa provini è dentro la gabbia dei propri limiti, regole, binari, prove, giudizi propri e altrui. Chi ce la fa, invece, è naturalmente portato a violare le proprie convinzioni limitanti. Neanche le considera. Fatica, rischio, zone confort, non esistono. Va oltre. Non si sa quando il nostro Messi simbolo, ha deciso di essere un campione. Di volare alto e di dribblare le insicurezze. Di sorvolare i giudizi e di divertirsi fino a bombardare i suoi avversari ed eventualmente le sue paure, a suon di goal. Presumo che la rotondità delle sue azioni, la genialità dei suoi movimenti e accelerazioni, gli abbiano permesso di volare alto con le proprie idee, le proprie ambizioni, inseguendo i propri sogni e superando le proprie limitazioni. Oggi, Messi, e tanti campioni come lui, sono un simbolo che invita tanti giovani sportivi, ad integrare una nuova visione prospettica della vita. La partita di pallone, da studiare nei mini dettagli e da giocare fino all’esaurimento delle forze, diventa il continuo superamento dei propri limiti, diventa coraggio di combattere, diventa rischio senza paura, diventa continuo miglioramento di sé e della propria visione di gioco. Tutto questo porta, virtualmente, a un affinamento delle proprie potenzialità ed a una crescita personale, ma soprattutto porta a cambiare la propria visione della realtà. Rinvigorisce la flessibilità di atteggiamenti e comportamenti. E tutto questo accade per il solo fatto di tirare in porta o impedire all’avversario di farlo. Un banale e semplice rimbalzo di palloni. E invece, per ritornare al punto iniziale che ‘chi ce la fa non ha bisogno di provini’, chi supera le proprie paure, le ansie e anche i propri conflitti, chi è se stesso in definitiva, percepisce la naturalezza di un Messi, il divertimento dei grandi campioni e la professionalità del proprio impegno quotidiano come il legittimo artefice della propria vita. Quindi, attingiamo a simboli come Messi, o ai grandi campioni, e mettiamoci in campo, come solo noi stessi, in modo unico, possiamo fare. Questa mattina la vita ha un altro sapore. Seduta al tavolo della natura, bevo il mio caffè, con i primi raggi del risveglio che mi sfiorano le membra e i pesci che fanno capolino dalle rocce. Mi specchio in questo crogiolo di emozioni e per la prima volta dopo tanto tempo, mi guardo. Mi vedo in questo ritratto nudo in fusione; prendo forma e quasi stento a riconoscermi. Non sono più io, inghiottita da un mare raccolto! Lo scoglio aguzzo mi assaggia il corpo, mi offende quasi a ricordarmi che sono suo ospite fugace ma è dolce e amorevole la sensazione che provo. Finalmente sola! L'isolamento di questi luoghi mi rafforza. Cancella dalla mia pelle i segni disumani della civiltà, della vita castrata dagli ambienti e dalle relazioni. Qui sola, sto bene. Con gambe e braccia di sale. Il sole che forza le costole e mi brucia; il mare che inghiotte la mia anima; finalmente nuda! Mi perdo a guardare i filamenti degli oggetti riflessi; sono così immobili e ogni cosa è ridimensionata, ha un suo peso reale e una collocazione che mi sembra sincera. Pure io! Il tempo che vivo normalmente è un tempo sprecato. Rincorro continuamente e sento che ho perso qualcosa, che mi manca. Qualcosa di impervio e desolato, qualcosa di bestiale. Uno spazio affamato di avventura, di fatica fisica, di battaglia e ferite e di confronto; magro confronto con la natura! Il contatto livido e autentico mi riabilita, fa la punta ai sensi! Tutto vedo e tutto sento! Percepisco le figure, sento richiami lontani, dormienti in parti di me che credevo perdute. Questa è la verità! La realtà, se l'avvicino alle dita ha un'altra dimensione! Poco senso hanno gli oggetti quotidiani, gli abiti, le parole sprecate; poca forza hanno le colpe di fronte a questo mare! Magri i tormenti, se guardo tanta audace bellezza. E' cruda e spoglia. Ha il sapore tagliente; qualcosa che farebbe voglia di mettere in bocca da quanto ne ho bisogno! Dalla solitaria gratitudine che mi da! Sguarniti i pensieri, tacciono anche le parole, il tempo ha il profumo dell'aria che mi entra nel petto e poi se ne va! Non c'è più bisogno della risposta. Sento volare qualcosa nello stomaco; sono stravolta dalla fame,come se non mangiassi da secoli, come se avessi dimenticato di stare in vita, come se fossi stata inghiottita dalla paura per troppo tempo! Di questo ho bisogno! Di tornare come un uomo. Scalzo un po' di più! Sentirmi affamato, assetato, conquistare un angolo di creato, sentire che sono di questo mondo senza pretesa. Ora se me li voglio mangiare questi pesci li devo pure andare a prendere! Ogni squadra di calcio italiana, si guarda da dentro e da fuori. Schiere di preparatori e allenatori osservano e consigliano, si confrontano e scelgono i ‘gladiatori’ migliori. Quelli più affidabili e seri. Quelli che danno il massimo. L’odore della tensione e dell’adrenalina, viene cercato in ogni momento: nella puntualità, nella partecipazione, negli allenamenti, nelle riflessioni di gruppo, negli spogliatoi, nei comportamenti sociali. Ogni momento è messo razionalmente sotto osservazione e controllo. All’esterno, tifosi e simpatizzanti, writers e cronisti, sponsor e televisioni, cercano a loro volta l’odore del sangue, nei risultati, nelle conferme, nei difetti, nelle prove, nelle immagini e nei dettagli della moviola. Gli atleti, dal canto loro, cercano la prestazione perfetta, la forma smagliante, il fisico esplosivo, sempre. In campo, in palestra, negli allenamenti, nelle partitelle, e finalmente, dove conta veramente, nelle partite del sabato e della domenica. Tutto sembra andare nell’unica e univoca direzione del successo. Impegno totale, professionalità, dinamismo, eccellenza. Ma, come accade per tante attività, quando la corda stringe da ogni lato, e si richiede ai giocatori di ‘mangiare l’erba’, si supera un determinato limite e ciò che è iniziato nella ricerca della perfezione e dei buoni propositi, cucina i protagonisti. Li intossica fino a non capire più cosa è veramente importante: il risultato? O la perfezione di ogni momento? Quando le corde stringono, il cervello dei protagonisti può scivolare nell’ansia, nella compulsività, nell’ossessione, nella paranoia, nell’esaltazione, a seconda dei casi, fino a sbiadire la lucidità, la consapevolezza, l’efficienza, il risultato. E a impallare l’istintività e la genuina ferinità. In tali casi occorre affidarsi ai fondamentali della psicologia dello sport e del buon senso. E cioè, avere obiettivi e limiti chiari, calibrati e realistici. E, anche, pazienza e buonumore. Cosa significa, tutto ciò, per un atleta? Uno sforzo di lucidità! Mettere al centro dei propri sforzi le priorità e tenere la barra dritta. Costruire una corretta e ricca immagine di sé, e riuscire a dare il giusto spazio e la giusta importanza a se stessi, alla squadra, ai tifosi e alla gloria del successo. Naturalmente, quando si ha la fortuna di raggiungerlo. Possiamo avere il fisico più palestrato del mondo, ma appena apriamo bocca per parlare possiamo deludere. Agli occhi degli altri, quel gonfiore, quel camminare goffo, l’immagine e il portamento, crollano miseramente, e la domanda, che viene spontanea, è: ‘che problemi hai?’. ‘Che te ne fai di quel fisico?’. Il problema riguarda le emozioni. Il corpo gonfio di muscoli, non riesce a mobilitare le emozioni e le trattiene in un ammasso di energia, e la voce si inventa personaggi improbabili e finti. I muscoli proteggono dalla paura, dal giudizio e dalla vergogna. La voce protegge la fuga dall’insoddisfazione e dalla mancanza di scopi. Le emozioni non trovano la loro espressione coerente. E non si riesce a parlare con se stessi. Un certo dialogo con se stessi è invece necessario per mettere a fuoco la realtà intima delle persone. Le domande fanno capire i piani nascosti, e la ricerca della via può togliere le stampelle a qualsiasi cosa che non sia uno scopo vero, concreto, positivo. Vuoi fare il doppiatore, il regista o l’attore? Se non permetti alle tue emozioni di esprimersi o ai tuoi scopi di delinearsi, con quei muscoli, puoi permetterti di fare solo il tecnico. Puoi sollevare comodamente l’attrezzatura. Invece, parlando della tua vita. Mettendola sul tavolo. Chiedendoti perché gli altri capiscono male. Male che vada, vivrai la tua vita. Parla diritto finché puoi scegliere. Puoi scegliere anche di cambiare. Se questa strada non ti porta da nessuna parte e anzi ti incastra, cambia strada. Non fa male un esame della realtà che ti richiede di cambiare. Vuoi provare? Prova! Buttati nel flusso delle tue emozioni e se serve, fatti un bel salto mortale. Chi muore è il tuo ego. Chi salta è una nuova regione dell’essere. Certo, non hai vinto la Coppa del Mondo. I Mondiali Universitari di calcio sono considerati un torneo di serie B. Ma chi avrebbe pensato, prima di partire per la Corea del Sud, che saresti stato titolare in una nazionale italiana di studenti provenienti da 15 diverse squadre che neanche si conoscevano? Dopo un anno di incertezze: prima titolare (sei salito in alto), poi non titolare (sei piombato in basso), successivamente, ottimo sostituto del bravo Pinsoglio, sei stato un serio camminatore dai piedi per terra e ti sei rimboccato le maniche studiando, scrivendo, comunicando. Ieri, sei stato protagonista di questo viaggio inaspettato e ti ho visto sorridere, essere felice e in ottima sintonia con il gruppo. Oggi, meritatamente, voli in alto e mi auguro che serva a vedere di più. Ti ho visto provare emozioni, condividerle con chi era a casa, vederti determinato e/o sorridente in ogni inquadratura, gentile, e per me è stato un piacere: una gioia vederti giocare e una soddisfazione vederti protagonista. Come genitore non posso certo chiedere di più. Mi inchino alla tua determinazione, alla tua umiltà e alla tua capacità di chiedere aiuto nei momenti difficili, come si fa in una squadra: i protagonisti, tutti tesi al proprio tornaconto, si connettono magicamente, escono dai propri orticelli e creano delle sinergie favolose. Le partite si vincono ogni domenica, ma questo premio rimarrà tutta la vita in due modi: come ricordo (la medaglia che terrai sul tavolo) e come diploma sportivo (che terrai ad altezza d’uomo, nella tua migliore parete) quale lezione su cui riflettere e trarre insegnamenti. Sempre, anche quando avrai finito di giocare. Sono sicuro che questo premio ti ricordi quanto sia utile studiare e formarti; preparare il tuo futuro post professionistico - ora che sei nella tua migliore condizione psicofisica; e, soprattutto, che vale la pena cercare la gioia nelle proprie scelte di vita, anche se possono essere dolorose. Il tuo insegnamento per me è quello di starti vicino mentre sei più lontano. |
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