
"Vola solo chi osa farlo." (Luis Sepùlveda - scrittore cileno)
Tuffarsi è bellissimo!
Eleganza, simmetria e potenza espressi in una frazione di tempo ristrettissimo; pura poesia del gesto sportivo.
Il tuffo richiede un impegno fisico acrobatico, ma anche una vocazione mentale performante assai diversa da altri sport più ordinari e in qualche modo "spontanei" nel movimento.
La coordinazione motoria è fondamentale quanto la costruzione del gesto, dalla evoluzione in aria alla percezione cinestetica del corpo.
Tutto si risolve in un lampo; una frazione di intelligenza muscolare....e di coraggio. Un' esplosione di adrenalina!
Per quelli come me, che si avvicinano questo sport tardivamente, non si può proprio parlare di "lirica del movimento"!!! O di azioni eleganti e veloci.
Piuttosto si tratta di una prova (applicata a una tecnica) più che altro di vita, stimolante nel corpo, nel pensiero e nella mia evoluzione personale.
Che si tratti di un trampolino elastico da un metro o una piattaforma rigida da cinque, la tendenza psicologica non cambia di tanto.
Il segreto per eseguire un discreto tuffo, riguarda la capacità di saper modificare il punto di vista e ragionare in termini completamente diversi dal comune senso del movimento e della percezione di se stessi (cosa molto difficile in età non più giovanissima!).
Traslato nel quotidiano, tuffarsi è un'ottima palestra; è un allenamento a incontrare i fatti della vita di ogni giorno con uno sguardo metaforico, comprendendo significati anche molto differenti, a seconda di come osserviamo.
Vicino o lontano. In prospettiva o piatto come una cartolina. Da dentro o da fuori.
Si può restare fermi immobili sulla piattaforma, a cercare invano il coraggio, pensando che un errore possa costare molto caro.
Si esita lassù, con le braccia e le gambe fissate dal terrore, incapaci di vedere che sotto di noi c'è soltanto acqua, un materasso liquido pronto ad attutire le nostre cadute, anche se dolorose.
Eppure imperterrita mi guardo i piedi e penso che l'evoluzione (seppur minima) dovrà renderli elastici e scattanti, due caviglie "a molla", pronte a posizionarsi in un istante al di sopra della mia testa. Non riesco neanche a pensarci!
Buttarsi o tornare indietro?
Tentare la metamorfosi o rimanere ancorata alla memoria di tutti i miei errori, di ogni mancanza, di un ridicolo salto nel vuoto dove schiena, testa, pancia e sentimenti sono stati messi a dura prova?
Se mi faccio la domanda sbagliata credo soltanto alla paura; continuerò a fissare i miei piedi ossuti e a sentire il corpo riluttante che guarda nel vuoto.
Guardo a un passato di cadute bestiali, guardo a un futuro che non potrà che condurmi inevitabilmente all'errore (una schienata, un'apertura anticipata, una non-apertura).
Riuscire a prendere le distanze dalle esperienze negative non è cosa facile, ma posso lavorare sulle mie personali strategie.
La prima: rendermi conto che continuare a ragionare sempre nello stesso schema, non può che perpetrare anche lo stesso vizio. Con un po' di creatività ripiego su immagini pratiche e di facile comprensione ( salto in alto e afferro la mela - chiudo in basso e riporto la mela), che mi aiutino concretamente a sviluppare un ragionamento diverso, laterale, di cambiamento.
La seconda: mi scarico da inutili tensioni e cerco di liberarmi dai miei stessi pregiudizi con un atto di tiepido coraggio che ha lo scopo di sdrammatizzare, creare leggerezza, ridurre l'entità dell'impresa (rincorsa, urlo a pieni polmoni, tuffo a bomba-svuotapiscina). E' anche divertente.
La terza: quando parlo delle mie emozioni, quasi sempre so elencarne pochissime. E nella mia lingua restano sempre le stesse parole: rabbia, amore, paura, gioia, ansia.
In realtà il panorama di ciò che sento è molto più vasto e articolato. Poche volte le mie mani sanno riconoscere l'impasto che in quel frangente mi rende riluttante, mi causa diniego o sofferenza.
Qualche volta le emozioni e i sentimenti li percepisco vigorosi. Non serve giustificazione, motivazione; loro vanno con la forza proporzionata al sentire.
E il mio, è un sentire che, nel bene o nel male, qualche volta brucia; è forte, agitato, si alimenta delle incandescenze, muta i colori del mondo e a volte lo valica!
Le emozioni si rincorrono e si accavallano, generandone altre fino a diventare un groviglio inestricabile.
Paura, aggressività, irritazione, sconforto, furia!
Coraggio, spavalderia, sfrontatezza, indolenza!
Amore, affetto, stima, solitudine.....Ha tutto lo stesso sapore! Come quando si assaggia una pietanza bollente: il gusto, la sua sfumatura si perdono nella bolla arroventata.
Se sperimentate e ordinate una alla volta, invece, posso disporre di un archivio personale da degustare con delicatezza. Una specie di jukebox emotivo, che mi aiuti a riconoscere le canzoni correttamente e a farne buon uso.
Se poi lassù, in qualunque piattaforma di vita io possa trovarmi, scoprissi che non è atroce paura ciò che mi mortifica, ma soltanto una perniciosa insicurezza, o un debito di stima, una carenza di orgoglio....a quel punto è soltanto un istante. Terra, cielo e acqua e il salto è fatto!
I tuffi poi si possono anche sprecare, ma la vita...quella proprio no!
Tuffarsi è bellissimo!
Eleganza, simmetria e potenza espressi in una frazione di tempo ristrettissimo; pura poesia del gesto sportivo.
Il tuffo richiede un impegno fisico acrobatico, ma anche una vocazione mentale performante assai diversa da altri sport più ordinari e in qualche modo "spontanei" nel movimento.
La coordinazione motoria è fondamentale quanto la costruzione del gesto, dalla evoluzione in aria alla percezione cinestetica del corpo.
Tutto si risolve in un lampo; una frazione di intelligenza muscolare....e di coraggio. Un' esplosione di adrenalina!
Per quelli come me, che si avvicinano questo sport tardivamente, non si può proprio parlare di "lirica del movimento"!!! O di azioni eleganti e veloci.
Piuttosto si tratta di una prova (applicata a una tecnica) più che altro di vita, stimolante nel corpo, nel pensiero e nella mia evoluzione personale.
Che si tratti di un trampolino elastico da un metro o una piattaforma rigida da cinque, la tendenza psicologica non cambia di tanto.
Il segreto per eseguire un discreto tuffo, riguarda la capacità di saper modificare il punto di vista e ragionare in termini completamente diversi dal comune senso del movimento e della percezione di se stessi (cosa molto difficile in età non più giovanissima!).
Traslato nel quotidiano, tuffarsi è un'ottima palestra; è un allenamento a incontrare i fatti della vita di ogni giorno con uno sguardo metaforico, comprendendo significati anche molto differenti, a seconda di come osserviamo.
Vicino o lontano. In prospettiva o piatto come una cartolina. Da dentro o da fuori.
Si può restare fermi immobili sulla piattaforma, a cercare invano il coraggio, pensando che un errore possa costare molto caro.
Si esita lassù, con le braccia e le gambe fissate dal terrore, incapaci di vedere che sotto di noi c'è soltanto acqua, un materasso liquido pronto ad attutire le nostre cadute, anche se dolorose.
Eppure imperterrita mi guardo i piedi e penso che l'evoluzione (seppur minima) dovrà renderli elastici e scattanti, due caviglie "a molla", pronte a posizionarsi in un istante al di sopra della mia testa. Non riesco neanche a pensarci!
Buttarsi o tornare indietro?
Tentare la metamorfosi o rimanere ancorata alla memoria di tutti i miei errori, di ogni mancanza, di un ridicolo salto nel vuoto dove schiena, testa, pancia e sentimenti sono stati messi a dura prova?
Se mi faccio la domanda sbagliata credo soltanto alla paura; continuerò a fissare i miei piedi ossuti e a sentire il corpo riluttante che guarda nel vuoto.
Guardo a un passato di cadute bestiali, guardo a un futuro che non potrà che condurmi inevitabilmente all'errore (una schienata, un'apertura anticipata, una non-apertura).
Riuscire a prendere le distanze dalle esperienze negative non è cosa facile, ma posso lavorare sulle mie personali strategie.
La prima: rendermi conto che continuare a ragionare sempre nello stesso schema, non può che perpetrare anche lo stesso vizio. Con un po' di creatività ripiego su immagini pratiche e di facile comprensione ( salto in alto e afferro la mela - chiudo in basso e riporto la mela), che mi aiutino concretamente a sviluppare un ragionamento diverso, laterale, di cambiamento.
La seconda: mi scarico da inutili tensioni e cerco di liberarmi dai miei stessi pregiudizi con un atto di tiepido coraggio che ha lo scopo di sdrammatizzare, creare leggerezza, ridurre l'entità dell'impresa (rincorsa, urlo a pieni polmoni, tuffo a bomba-svuotapiscina). E' anche divertente.
La terza: quando parlo delle mie emozioni, quasi sempre so elencarne pochissime. E nella mia lingua restano sempre le stesse parole: rabbia, amore, paura, gioia, ansia.
In realtà il panorama di ciò che sento è molto più vasto e articolato. Poche volte le mie mani sanno riconoscere l'impasto che in quel frangente mi rende riluttante, mi causa diniego o sofferenza.
Qualche volta le emozioni e i sentimenti li percepisco vigorosi. Non serve giustificazione, motivazione; loro vanno con la forza proporzionata al sentire.
E il mio, è un sentire che, nel bene o nel male, qualche volta brucia; è forte, agitato, si alimenta delle incandescenze, muta i colori del mondo e a volte lo valica!
Le emozioni si rincorrono e si accavallano, generandone altre fino a diventare un groviglio inestricabile.
Paura, aggressività, irritazione, sconforto, furia!
Coraggio, spavalderia, sfrontatezza, indolenza!
Amore, affetto, stima, solitudine.....Ha tutto lo stesso sapore! Come quando si assaggia una pietanza bollente: il gusto, la sua sfumatura si perdono nella bolla arroventata.
Se sperimentate e ordinate una alla volta, invece, posso disporre di un archivio personale da degustare con delicatezza. Una specie di jukebox emotivo, che mi aiuti a riconoscere le canzoni correttamente e a farne buon uso.
Se poi lassù, in qualunque piattaforma di vita io possa trovarmi, scoprissi che non è atroce paura ciò che mi mortifica, ma soltanto una perniciosa insicurezza, o un debito di stima, una carenza di orgoglio....a quel punto è soltanto un istante. Terra, cielo e acqua e il salto è fatto!
I tuffi poi si possono anche sprecare, ma la vita...quella proprio no!