
Uscire da un complesso di situazioni che si sono incartate in termini di motivazione, di rapporti interpersonali o di società, obbliga l’atleta a interrogarsi sul perché è successo e come uscirne.
Analizzare il ‘perché’, una situazione inizialmente positiva sia cambiata in un quadro contrario, necessita una riflessione sulle proprie incombenze. Non sulle colpe, ma sulla inconsapevolezza di come il proprio comportamento abbia potuto innescare le riflessioni di preparatori e allenatori producendo scelte di relativa o diminuita fiducia.
Chiedersi il perché delle cose, è produrre un pensiero che cerca le cause di determinati risultati, e può essere liberatorio laddove la responsabilità degli accadimenti viene assunta personalmente: ‘io sono il prodotto di ciò che è accaduto!’ Quando non si riesce ad interpretare gli accadimenti con un maturo senso di responsabilità, si innescano proiezioni, emozioni, nodi interni, criticità, difficilmente componibili. Con la conseguenza di perdere il senso dell’esperienza, o peggio, di sé, vivendo in una matassa di ansia, di frustrazione e di rabbia.
Serve? Ho qualche fondato dubbio. Serve, se la consapevolezza delle proprie criticità interne fa da sponda ad un pensiero che eleva il piano delle responsabilità fino a modificare atteggiamenti proiettivi, ‘è colpa degli altri’; persecutori, ‘che disegno c’è sotto’; e giudicanti, ‘non mi hanno capito’; nella ricerca del più interessante: ‘come’ posso uscirne e sciogliere i miei nodi interni’.
Non si può uscire da determinate empasse con l'evitamento, con la fuga o con la delega ad altri. Ci si ritroverebbe nello stesso brodo più avanti.
A fianco di una consapevolezza lucida sui fatti del recente passato, occorre un cambio di paradigma che analizzi il come uscirne, partendo dalla riformulazione dei propri obiettivi, dall'analisi delle strategie inefficaci e delle resistenze che si sono incontrate e soprattutto cercando di influenzare il presente per migliorare il futuro dei risultati e di se stessi.
Analizzare il ‘perché’, una situazione inizialmente positiva sia cambiata in un quadro contrario, necessita una riflessione sulle proprie incombenze. Non sulle colpe, ma sulla inconsapevolezza di come il proprio comportamento abbia potuto innescare le riflessioni di preparatori e allenatori producendo scelte di relativa o diminuita fiducia.
Chiedersi il perché delle cose, è produrre un pensiero che cerca le cause di determinati risultati, e può essere liberatorio laddove la responsabilità degli accadimenti viene assunta personalmente: ‘io sono il prodotto di ciò che è accaduto!’ Quando non si riesce ad interpretare gli accadimenti con un maturo senso di responsabilità, si innescano proiezioni, emozioni, nodi interni, criticità, difficilmente componibili. Con la conseguenza di perdere il senso dell’esperienza, o peggio, di sé, vivendo in una matassa di ansia, di frustrazione e di rabbia.
Serve? Ho qualche fondato dubbio. Serve, se la consapevolezza delle proprie criticità interne fa da sponda ad un pensiero che eleva il piano delle responsabilità fino a modificare atteggiamenti proiettivi, ‘è colpa degli altri’; persecutori, ‘che disegno c’è sotto’; e giudicanti, ‘non mi hanno capito’; nella ricerca del più interessante: ‘come’ posso uscirne e sciogliere i miei nodi interni’.
Non si può uscire da determinate empasse con l'evitamento, con la fuga o con la delega ad altri. Ci si ritroverebbe nello stesso brodo più avanti.
A fianco di una consapevolezza lucida sui fatti del recente passato, occorre un cambio di paradigma che analizzi il come uscirne, partendo dalla riformulazione dei propri obiettivi, dall'analisi delle strategie inefficaci e delle resistenze che si sono incontrate e soprattutto cercando di influenzare il presente per migliorare il futuro dei risultati e di se stessi.