
La gestione della gara è stata buona, le sensazioni sono state positive, i risultati evidenti e l’atleta si gusta i meritati momenti di gratificazione personale.
Si sa che la gratificazione e con essa la soddisfazione psicologica è uno stato emotivo transitorio che accompagna il raggiungimento di uno scopo o l’appagamento di un bisogno o di un desiderio.
Ma proprio per la sua mutevolezza, ogni atleta ha bisogno di gustare in sequenza il ‘principio di piacere’ che affonda le radici nell’esuberanza degli istinti e delle pulsioni e di ricevere gratificazioni positive attraverso comportamenti di rinforzo ambientali e sociali.
Per questo, l’atleta ricerca gli stimoli ’dopaminergici’, quelli per intercederci che fanno capo a numerosi tipi di gratificazione fisiologica quale quello alimentare o sessuale, ma ha bisogno nel contempo di supporto e di riconoscimento da parte di allenatori, colleghi, esperti.
L’appagamento delle pulsioni primarie ha basi biologiche, è concreto, e potrebbe bastare in sé per sentirsi bene, soddisfatti e appunto gratificati. La gratificazione psicologica, dal canto suo, dipende da rinforzi immateriali, da complesse visioni del mondo in cui i significati, i valori, le aspettative giocano un ruolo fondamentale. La gratificazione culturale, invece, deriva dal risolvere problemi, dallo svolgimento di un compito complesso, dalla realizzazione di un incarico in modo creativo e resiliente, dal superarmento dei propri limiti, da buone relazioni.
Per tutti questi aspetti, l’atleta ha bisogno che il proprio allenatore lasci una traccia, con parole e gesti, di fronte al gruppo, ogni tanto, quando serve, per incoraggiare o per inibire, che arrivi al cuore delle emozioni del suo ‘campione’.
Cosa produce la gratificazione nell’atleta, quando tutto ciò avviene?
A volte, i risultati sono transitori, più spesso si instaura un terreno di dialogo, tra allenatore e atleta, dove le emozioni sospingono i sistemi motivazionali complessi come la curiosità, facendo crescere, in entrambi, il desiderio di fare bene, di collaborare e di prepararsi sempre meglio.
Credo valga la pena per ogni atleta, comunque, contare in modo equilibrato sulle proprie motivazioni interiori e legarle significativamente con i propri obiettivi, ma anche di vivacizzarle con altri interessi e passioni.
Si sa che la gratificazione e con essa la soddisfazione psicologica è uno stato emotivo transitorio che accompagna il raggiungimento di uno scopo o l’appagamento di un bisogno o di un desiderio.
Ma proprio per la sua mutevolezza, ogni atleta ha bisogno di gustare in sequenza il ‘principio di piacere’ che affonda le radici nell’esuberanza degli istinti e delle pulsioni e di ricevere gratificazioni positive attraverso comportamenti di rinforzo ambientali e sociali.
Per questo, l’atleta ricerca gli stimoli ’dopaminergici’, quelli per intercederci che fanno capo a numerosi tipi di gratificazione fisiologica quale quello alimentare o sessuale, ma ha bisogno nel contempo di supporto e di riconoscimento da parte di allenatori, colleghi, esperti.
L’appagamento delle pulsioni primarie ha basi biologiche, è concreto, e potrebbe bastare in sé per sentirsi bene, soddisfatti e appunto gratificati. La gratificazione psicologica, dal canto suo, dipende da rinforzi immateriali, da complesse visioni del mondo in cui i significati, i valori, le aspettative giocano un ruolo fondamentale. La gratificazione culturale, invece, deriva dal risolvere problemi, dallo svolgimento di un compito complesso, dalla realizzazione di un incarico in modo creativo e resiliente, dal superarmento dei propri limiti, da buone relazioni.
Per tutti questi aspetti, l’atleta ha bisogno che il proprio allenatore lasci una traccia, con parole e gesti, di fronte al gruppo, ogni tanto, quando serve, per incoraggiare o per inibire, che arrivi al cuore delle emozioni del suo ‘campione’.
Cosa produce la gratificazione nell’atleta, quando tutto ciò avviene?
A volte, i risultati sono transitori, più spesso si instaura un terreno di dialogo, tra allenatore e atleta, dove le emozioni sospingono i sistemi motivazionali complessi come la curiosità, facendo crescere, in entrambi, il desiderio di fare bene, di collaborare e di prepararsi sempre meglio.
Credo valga la pena per ogni atleta, comunque, contare in modo equilibrato sulle proprie motivazioni interiori e legarle significativamente con i propri obiettivi, ma anche di vivacizzarle con altri interessi e passioni.