
‘Scegli liberamente!’, ‘Fai ciò che vuoi! ‘Fallo perché ci credi! Sono bei rinforzi per ogni nostro comportamento e cambiamento. Ma come possiamo fare per ’legare’ gli stimoli ai nostri processi motivazionali e renderli virtuosi? E come possiamo essere più consapevoli e determinati nei nostri comportamenti e cambiamenti?
Per aiutarci in questo dobbiamo porci delle domande mirate e ricordarci che ogni cambiamento si realizza quando conosciamo come fare, ma soprattutto quando comprendiamo il perché vale la pena farlo’.
Pensiamo ad una attività che ci piace e a cui dedichiamo tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Che cosa ci spinge a farlo? Rumble, rumble.
Ebbene, andiamo più in profondità e chiediamoci: ‘perché gli altri vogliono che io faccia sport?’, ‘perché mi sento a disagio quando non lo faccio?’, ‘perché sento che è la cosa migliore che posso fare per me stesso?, ‘perché mi diverte?’.
Sono domande che ci aiutano a usare la testa, a capire perché vale la pena realizzare obiettivi e testare gli stimoli adeguati allo scopo.
Sin dall’inizio, le risposte che ci diamo sono fondamentali per vivificare la nostra capacità di agire e reagire efficacemente di fronte alla presenza/assenza di ricompense, alla presenza/assenza di scelte, alla presenza/assenza di scadenze imposte dai programmi di allenamento. Ci aiutano a capire qual è il nostro stile motivazionale e quali sono gli atteggiamenti più funzionali al raggiungimento dei nostri scopi.
Questa consapevolezza è utile, di conseguenza, anche agli allenatori e agli educatori sportivi. Li agevola a riconoscere quali sono gli ostacoli derivanti dalle variabili di tipo sociale e interpersonale che incrociano, osservare quale tipo di motivazione è in atto e comprendere quale forma di autoregolazione stanno attivando i loro allievi.
Un esempio lo abbiamo quando l’atleta cerca il limite delle proprie prestazioni, ma si sente inadeguato. La sensazione di inadeguatezza, può fargli perdere l’interesse o il piacere per la stessa pratica sportiva. Oppure, può perdere interesse e stimoli, quando l’allenatore è ispirato ad un eccessivo controllo ed è poco propenso ad accogliere scelte e opinioni che differiscano dalle sue.
Che dire allora, invitiamo l’atleta a porsi buone domande per comprendere il suo stile motivazionale e, contemporaneamente, invitiamo l’allenatore a fare del suo meglio per mettere in pista l’atleta, ben conscio che in pista ci vanno le sue gambe e la sua testa.
Per aiutarci in questo dobbiamo porci delle domande mirate e ricordarci che ogni cambiamento si realizza quando conosciamo come fare, ma soprattutto quando comprendiamo il perché vale la pena farlo’.
Pensiamo ad una attività che ci piace e a cui dedichiamo tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Che cosa ci spinge a farlo? Rumble, rumble.
Ebbene, andiamo più in profondità e chiediamoci: ‘perché gli altri vogliono che io faccia sport?’, ‘perché mi sento a disagio quando non lo faccio?’, ‘perché sento che è la cosa migliore che posso fare per me stesso?, ‘perché mi diverte?’.
Sono domande che ci aiutano a usare la testa, a capire perché vale la pena realizzare obiettivi e testare gli stimoli adeguati allo scopo.
Sin dall’inizio, le risposte che ci diamo sono fondamentali per vivificare la nostra capacità di agire e reagire efficacemente di fronte alla presenza/assenza di ricompense, alla presenza/assenza di scelte, alla presenza/assenza di scadenze imposte dai programmi di allenamento. Ci aiutano a capire qual è il nostro stile motivazionale e quali sono gli atteggiamenti più funzionali al raggiungimento dei nostri scopi.
Questa consapevolezza è utile, di conseguenza, anche agli allenatori e agli educatori sportivi. Li agevola a riconoscere quali sono gli ostacoli derivanti dalle variabili di tipo sociale e interpersonale che incrociano, osservare quale tipo di motivazione è in atto e comprendere quale forma di autoregolazione stanno attivando i loro allievi.
Un esempio lo abbiamo quando l’atleta cerca il limite delle proprie prestazioni, ma si sente inadeguato. La sensazione di inadeguatezza, può fargli perdere l’interesse o il piacere per la stessa pratica sportiva. Oppure, può perdere interesse e stimoli, quando l’allenatore è ispirato ad un eccessivo controllo ed è poco propenso ad accogliere scelte e opinioni che differiscano dalle sue.
Che dire allora, invitiamo l’atleta a porsi buone domande per comprendere il suo stile motivazionale e, contemporaneamente, invitiamo l’allenatore a fare del suo meglio per mettere in pista l’atleta, ben conscio che in pista ci vanno le sue gambe e la sua testa.