Le ricerche ci hanno mostrato in diverse occasioni che un atleta che abbia una visione positiva è quello che generalmente raggiunge migliori risultati. Negli studi sull’impotenza appresa, M. Seligman (studioso del pensiero positivo) ha messo in guardia sull’ottimismo ottuso (lo ha definito ingenuo e talvolta pericoloso), ha valorizzato l’ottimismo realistico (basato sui fatti) e ha evidenziato cosa succede ad essere pessimisti: pessimismo appreso (anticamera della depressione). Seligman ha notato che per essere pessimisti bisogna impegnarsi su quattro fronti: avere la tendenza a pensare che le cose negative sono permanenti; che la negatività fa parte di una condizione emotiva pervasiva; che la causa della negatività siamo noi e che i problemi sono pesanti, con un peso specifico molto alto. Tipo piombo per capirci. Per essere positivi allora occorre fare qualcosa di completamente diverso che non sia adottare un ottimismo ottuso (credere fino alla morte), un ottimismo realistico (credere solo ai fatti) o a un pessimismo appreso (credere che nulla cambierà). Occorre pensare alle esperienze e a se stessi con più flessibilità e maturare la convinzione che le cose cambiano, che non è tutto bene o male, bianco o nero, che molto dipende dalla nostra responsabilità e che ci sono cose ben più gravi nella vita. Essere ottimisti, pertanto, è una prerogativa del pensare positivo: è la capacità di esercitare l’arte della fiducia, dell’aspettativa realistica e della speranza. Nello specifico, un atleta che pensi positivo riesce ad attribuire dei significati non definitivi a ciò che gli accade, con un vantaggio strategico formidabile che gli consente di ’digerire’, con più prontezza, delusioni, sconfitte e difficoltà agonistiche. Pensiamoci bene, il pensiero orientato alla percezione di ciò che funziona, che cerca il bicchiere mezzo pieno e ne vede il vetro, che guarda avanti e confeziona il suo futuro o che cerca di spiegare gli eventi in modo vario e creativo, è un toccasana per l’algoritmo cognitivo di ogni atleta e squadra. Consente di interpretare gli insuccessi in termini di impegni insufficienti o di scelta strategica sbagliata, ma non di scivolare su qualsivoglia ‘mancanza’ di: abilità, competenze o fortuna.
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