Un giocatore, per uscire dalla sua zona di ‘confort’ ed entrare in una zona di ‘sfida’ ha bisogno, oltre agli schemi che sono il frutto delle esperienze di successo passate e presenti, di percepire aspetti di Sé realizzabili nel futuro. Le sue immagini del futuro implicano scopi, ruoli e aspirazioni potenzialmente positivi, ma contengono anche un concentrato di paure, ansie, attese che desidera evitare. Quando non ci riesce, il pericolo è il vuoto creativo e il senso di estraniazione. Il rifugio è l’angoscia. Le fughe dall'angoscia si manifestano con gli auto-handicap (inconvenienti, piccoli incidenti, malesseri, etc.), grazie ai quali un giocatore può rifuggire un impegno o un compito perché percepisce una minaccia, non tanto per fare o non fare una partita, giocare o non giocare, quanto una minaccia alla propria sopravvivenza psicologica. E’ il vuoto di senso che non si riesce a contrastare, il vuoto di ruolo, l’assenza di un confronto con la realtà, che deprime la natura dei propri sforzi. La mancata opportunità di rappresentare ciò che si vorrebbe essere, inibisce il pensiero vincente, aumenta gli avversari della paura e ingigantisce le prove sul campo della sfida. Ci si fustiga e si entra in un clima di scoraggiamento e di blocco dell’esplorazione. Per non sostare in una amarezza paralizzante, occorre identificare un progetto individuale, veritiero, attraverso il quale diventare ciò che si può essere. Il cambiamento salutare, per l’equilibrio dell’identità del giocatore, pertanto, passa per l’accettazione della realtà quale essa è, per il piacere di porsi mete sfidanti, per la volontà di essere, per imparare velocemente che l’insuccesso non distrugge, ma governa le spinte di esplorazione quando si è protagonisti, nel bene o nel male, della propria vita. Ci vuole coraggio e molta maturità, ad accogliere il successo ma anche il fallimento, quando si riesce a rendere reversibile il pensiero, per nuovi progetti e nuovi territori di sfida.
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