Sport: 'l'atleta operaio ... specializzato'

Mi sono sempre chiesto in base a quale criterio un allenatore sceglie i propri campioni. Probabilmente uno ha un bel potenziale, l’altro è un estroso, tal altro è un ‘freddo’. Uno capisce al volo, l’altro segue gli schemi, tal altro è tecnicamente una sicurezza.

E allora? Mi viene di pensare che al fondo ci sia una scelta di affidabilità. Non solo della garanzia che può dare l’operaio-atleta di saper fare bene il proprio compito, ma quella dell’operaio ‘specializzato’ che interpreta la gara.

Nella mia fantasia di sportivo, ho sempre pensato allo sport come il luogo che avvicina all’Olimpo, agli Dei, ai Superuomini, alla gloria. Dopo aver visto centinaia di atleti intenti nella loro ricerca di salvezza, di successo, di immortalità, riscopro la dimensione umana di chi esordisce, cresce, si specializza e, soprattutto, sa tramontare.

Se quello che dico ha senso, allora mi solletica l’idea di aiutare gli specializzandi ‘operai atleti’ a riconoscere oltre alle proprie indubbie capacità e risorse, il senso della misura, il senso del limite, per considerare le inevitabili frustrazioni come componenti della vita, da tollerare, senza metterle troppo in mostra.

Credo che l’atleta di cui parlo, per specializzarsi, per essere all’altezza del compito, debba cambiare alcuni fattori della propria filosofia personale. Invece di pensare di poter dominare se stesso, il gioco e la realtà con la propria volontà e con prestazioni miracolistiche, debba indirizzare il suo pensiero verso il più umile scopo di trattare se stesso come un fine invece che un mezzo, e farsi carico delle cose che contano: l’energia, le emozioni, le risorse. Non il denaro, non la ricchezza, non il successo, fini a se stessi.

Ecco che allora lo sport diventa quel luogo speciale dove attingere felicità da un ricco deposito di vita condivisa.