L’ansia da prestazione ha tre componenti correlate: lo stimolo (es: affrontare una gara), la risposta (es: comportamenti di attivazione fisiologica eccessiva, di fuga o blocco di energie che vengono inibite e intrappolate) e il processo interiore che rinforza la convinzione di non potercela fare (es: la paura dell’esecuzione). Vediamo il fattore centrale della genesi dell’ansia di prestazione che è il processo interiore. Ciò che rende ansiogena una situazione è l’esperienza soggettiva dell’atleta, cioè le sue sensazioni, emozioni, pensieri, immagini e movimenti. Ognuno di questi stati viene letto, interpretato e affrontato dall’atleta come risposta a una minaccia percepita a torto come ‘reale, rilevante, invalidante’. In queste situazioni abbiamo due scuole di pensiero principali. La scuola psicodinamica che studia le cause che hanno prodotto l’esperienza ansiogena, la sua storia e i suoi traumi. La scuola cognitivo comportamentale che progetta le azioni efficaci di autocontrollo, conoscitive e di condotta. Entrambe vengono integrate e arricchite da un approccio sistemico, con interventi comparati e da studi sui tratti di personalità dell’atleta. In pratica, nella catena della consapevolezza soggettiva dell’atleta vengono individuate le aree più attive. Possono riguardare pensieri e giudizi, immagini e fantasie, sensazioni e stati fisiologici, emozioni e suggestioni, gesti e movimenti. E si comincia ad agire su ognuno dei livelli individuati con forme di autocontrollo aspecifiche, di riduzione della percezione, di controllo emotivo e fisiologico, di gestione del pensiero, e con metodiche regolate specificamente sulle caratteristiche psicologico/sistemiche dell’atleta. Il tema dell’ansia, come possiamo immaginare, non riguarda solo l’atleta, bensì ognuno di noi. Riguarda la gestione di complessi stati emotivo mentali che hanno come sfondo la necessità di acquisire un ascolto profondo e un dialogo-comunicazione con se stessi, evoluto.
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