Ci dovrebbe essere una naturale continuità tra ruolo e persona e invece ci sono tante differenze. Il professionista è un freddo calcolatore delle proprie emozioni e sa contenerle e gestirle. Frenarle se occorre e utilizzarle a vantaggio del proprio ruolo. Lo sportivo medio, invece, per la sua giovane età, per gli ormoni che esplodono, per le emozioni orientate alla massima potenza, quando subisce un arresto o una sconfitta, non sa più valutare correttamente. L’altro, l’avversario che ha fatto meglio di lui o il collega che ha preso il suo posto, creano invidia. Il contesto e le critiche del pubblico, anche se si tratta solo di colleghi o spettatori tifosi, contaminano le scelte, i metri di valutazione ed i comportamenti. Se si ha successo, invece, si gode. Subentra la gioia maligna del successo personale a confronto della sventura altrui. In ogni caso è competizione. Diventa importante superare l’altro e gli altri. Non per fargliela vedere e togliersi, nel caso, qualche sassolino dalla scarpa, come Balotelli insegna. Ma per avere una prospettiva sana della competizione. La percezione del fallimento o del successo cambia molto in base all’effetto che suscita il confronto diretto con l’avversario e il pubblico, esperto o meno, che giudica. Il fatto è che ognuno di noi è estremamente vulnerabile alle proprie emozioni e basta una minima interazione, priva di elementi competitivi per far rabbrividire lo status, il proprio ruolo e l’immagine che offriamo al mondo. In pratica, siamo preoccupati di non dare una cattiva impressione di noi. Purtroppo, in una squadra questo meccanismo diventa che: ‘se perdi gioisco e se vinci non te lo faccio vedere, ma mi dispiace. Sudo perfino’. E non basta pulirsi la bocca con il ’sei un atleta professionista’, perché le vocine interiori non riescono a placare quel miscuglio di emozioni. E forse accade anche qualcosa di più scivoloso: il rimpianto della perdita diventa addirittura più forte della vittoria eventuale. Così vivendo, però, si rischia di non essere mai troppo felici, ne troppo scontenti. Si cercano gli avversari deboli per seppellirli e si gioca con il freno a mano con quelli forti. E allora viene voglia di dire: ‘senti, datti una mossa, prendila bene e pedala!'.
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