Sport: 'dire la propria'

Ci sono sport dove gli interessi incrociati rendono poco agevole dire la propria idea su un allenamento, una prestazione, uno stato psicofisico.

Sembra prevalere l’ipotesi che sia 'meglio tacere e lavorare’. Ma che crescita è per un atleta, per un gruppo, per un allenatore?

Non dico che ognuno dovrebbe dire qualsiasi cosa gli venga in mente pur di farsi sentire o peggio atteggiarsi da primadonna e contribuire a spiacevoli sottoboschi.

Mi riferisco all’idea sana di riuscire a riflettere sulle proprie e altrui azioni e riuscire a dare dei feedback appropriati alla crescita di una relazione collaborativa.

Imparare a dare feedback appropriati è un’arte ed è ancora più difficile parlare dei fatti in modo oggettivo e non emotivo, o ancora riuscire ad essere descrittivi nel proprio modo di farsi intendere. Ma è proprio questo lo sforzo premiante che può aiutare tutti a tirare fuori il meglio di sé.

L’allenatore, perché nel suo trasmettere messaggi non diventi quello che rimbrotta il povero atleta come fosse un pugile suonato.

L’atleta, perché impari che c’è un modo appropriato di esprimere le proprie ragioni, senza dover usare metodi indiretti quali lanciare bottiglie, bestemmiare o passare notti difficili.

Il gruppo, perché riconosca che ci sono ragioni forti che nascono da una comunicazione vera che nel fare crescere i singoli ne proietta le ragioni nella coscienza del gruppo.

Pertanto, avanti con feedback qualificati e …  coraggio.

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