Allenare ai massimi livelli, tirando fuori il meglio da ogni atleta è l’ambizione di ogni tecnico. Quindi, affinché un allenatore riesca a realizzare i migliori risultati deve condividere un progetto chiaro con molte idee, tante quante sono le complessità che deve gestire e descriverle attraverso un codice comunicativo che arrivi al cuore e alla mente dei suoi atleti. A volte, le proposte di allenamenti ripetitivi, duri e oppressivi, non consente agli atleti di capire come la riuscita di una gara possa giustificare il dolore e le fatiche patite durante la preparazione. Un primo risultato di questa dubbia interpretazione, è che alcuni atleti le accettano perché si sentono integrati in un sistema che li accoglie, mentre altri si sentono non compresi ed emarginati. Il difficile compito di un allenatore, allora, è quello di rendersi conto che per ognuno, proprio perché nel suo mondo, è duro provare a lasciarsi andare e dare il meglio di sé. Per ogni atleta alla ricerca della propria identità di ruolo e di persona, è difficile entrare in un piano razionale o in un complesso gioco di forze. Probabilmente deve comprendere sia il gioco reale che il gioco simbolico e sentirsi parte tra le parti. E allora, solo allora potrà accettare sensazioni disturbanti per uno scopo comune. Potrà allenarsi fino a moltiplicare gli sforzi, fino all'esaurimento, fino a quella condizione priva di controllo, quasi di trance ipnotica, nella quale l’atleta comincia a ‘grondare’ dentro, vivendo davvero quel che dovrebbe solo far credere. Tutto quello che un allenatore lungimirante vuole è liberare il proprio atleta per farlo sbocciare nel suo ruolo. Dare il massimo esige la complicità e l’eliminazione di ogni artificio, di ogni ‘sega mentale’. Per trovare in se stessi le emozioni e le motivazioni necessarie viene richiesta una capacità terribile di introspezione, cui un allenatore deve far da guida, con gran tatto, molta psicologia: anche se c’è chi, in alcuni momenti, preferisce definirla insensibilità, tirannia o sadismo.
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