Nel praticare l’arte marziale ‘mix martial arts’ condotta dal dott. Daniele Trevisani (6° Dan in Kickboxing e 8° Dan Karate Daoshi, professionista della formazione aziendale e sportiva), non posso non trarre spunti di riflessione quando mi trovo ad affrontare momenti stressanti e di forte difficoltà durante il combattimento e chiedermi: ‘cosa posso imparare da tutto questo?’ e come posso riversare il mio migliore approccio alla vita di tutti i giorni? In questa disciplina, come nella mia vita, provo crisi intense quando contatto il senso di impotenza, dove il mio IO sembra piegarsi agli eventi soverchianti della lotta. Provo un blocco fisico ed emotivo quando mi trovo in balia dell'avversario, risucchiato da una sensazione psicologica di vuoto. Mi sento debilitato dalle prese al collo che mi tolgono il respiro più prezioso che ci sia: quello della volontà. Il dolore della presa è relativo, ciò che più mi colpisce è il fatto di non poter incamerare aria. Il tutto inizia con un rapido calcolo di possibilità, mi agito in modo disorganizzato e poco efficace, tendo ad abbandonare la ricerca di soluzioni in favore di un appannamento mentale legato a spinte riemersive. Una fame d'aria che non arriva a compiersi. Mi trovo a cercare di uscire da un incubo senza riuscirci. Vengo pervaso dallo spirito di sopravvivenza e per un attimo acquisisco più forza e più spinta. Contatto le forze della reazione. Quelle che nella quotidianità mai riuscirei ad attivare dato che non mi servono. Ma nella lotta, nelle prese che mi piegano la vita e limitano la mia naturalezza, la mia risposta alle prese, ad ogni presa, ha un escursione intensa. Sentirmi soggiogato dalla dinamica situazionale alimenta in me il panico, le mie forze scemano rapidamente, annaspo in modo ancora più irregolare. Mi sento perso. Il corpo si anestetizza, il pensiero si sofferma in una zona onirica: game over. Cosa si può apprezzare di una dinamica così intensa, che in altri sport non ho mai sperimentato in modo così pervasivo? E’ forse la paura del dolore? E’ il timore di non farcela? E’ il dubbio di essere battuto? O è il timore del confronto dove il mio IO perde continuità e senso? Nelle fasi concitate della lotta apprezzo le funzioni del respiro come un bene supremo, come vita in azione e mi pongo altre domande: senza arrivare ad un punto estremo, quali mosse anticipatrici posso compiere? Come posso reagire? Che cosa posso fare: cedere o trovare uno spiraglio? Come nella vita, quando le situazioni spiacevoli si moltiplicano davanti a noi, quando i pensieri negativi affollano la mente e non sappiamo quali soluzioni trovare, il rischio è di cadere in un vortice: si può dare maggiore attenzione alla superficialità o alle futilità, alle vie di fuga o addirittura abbandonarsi ad una sensazione di fallimento. Nella lotta, come in una bollente metafora della vita, è importante prendersi un attimo per sé, concentrarsi su ciò che accade fuori di noi e soprattutto dentro di noi. Scandagliare rapidamente ogni possibilità, trovare il pertugio giusto in modo da proteggerci e da utilizzare come un ormeggio. Porre in quella direzione tutte le nostre forze in modo saggio, alternando fiammate di energia a fasi più calme in modo da dilatare la stretta fisica o simbolica che sia. Per quanto la presa possa essere letale è necessario restare calmi, lucidi, cercando di respirare in modo profondo e dosato. In questo modo si spezza una ragnatela per dare spazio ad una forza che non ė solo fisica ma psicologica. E’ la coscienza di un processo di conservazione.
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