Rabbia, rancore, incertezze, voglia di riscatto, di farsi valere oppure di utilizzare il buonismo come merce di scambio, come concessione se il compagno o il gruppo o l’allenatore lo meritano, sono killer pericolosi per le proprie aspirazioni. Basta veramente poco, basta continuare a coltivare le sovrastrutture “pensierose” e pesanti quali ‘non me lo merito’, ‘non mi avete capito’, ‘non sento l’ambiente’, ‘ve la faccio vedere io alla prima occasione’, ‘etc.’, per non imparare dalle proprie esperienze ed evitare di farle diventare occasioni di crescita personale e professionale. Lo stare dietro ai primi della classe significa accettare un giudizio e significa avere una cartina geografica di come si affronta un territorio complicato quale prodotto di parametri quali la vittoria/sconfitta o le decisioni altrui. E’ normale, credo, percepire la frustrazione dell’essere secondi, terzi, quarti … ma propongo una lettura diversa del contesto calcistico. Un calciatore è un guerriero con propri bisogni che corre sul filo dell’ambizione, del conflitto, della vittoria. Non è prevista né la sconfitta, né l’attesa. Entrambe portano all’implosione, alla sfiducia e all’ansia. E allora, un calciatore che sta affogando qualcosa deve pur fare. Dal mio punto di vista deve ‘alzare la testa’. E cioè modificare tre fattori chiave del proprio atteggiamento: variare, differenziare, cambiare. Non si può denigrare, dopo averne beneficiato, dei favori di qualcuno: società, allenatori, compagni, tifosi. E allora occorre creare i presupposti affinché si capiscano le necessità dei comprimari. Occorre mediare il proprio Don Chisciotte, che combatte nemici e mostri, con una semplice domanda: ‘come posso essere utile?’ Occorre mettere in campo caratteristiche personali, risultati e atteggiamenti collaborativi e contemporaneamente fare in modo di modificare la percezione che gli altri ‘attori’ hanno di noi. Occorre, in altre parole, differenziare la nostra immagine personale per far emergere un modo maturo di essere e una capacità di comprendere i bisogni e le preferenze altrui. Seppur lontane dalle nostre. Quindi ci si deve chiedere come esprimere il meglio di sé come guerrieri disposti a morire in battaglia, ma anche e soprattutto come ragionare da professionisti che comprendono i motivi di un allenatore, di un compagno, di un gruppo, di una società, di una città di tifosi. Non siamo tutti dei Ronaldo o dei Messi, ma possiamo essere dei buoni portatori di una cultura dello sport che prepara alla vita. Il passaggio riguarda quel ‘guerriero’ che, nell’agire … pensa, impara e si differenzia.
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