In apnea, come in altri sport, i risultati agonistici, a meno che non si sia dei superdotati, non sono quasi mai cristallini e progressivi. Ed è un bene, secondo me, per la crescita psicologica che ne consegue. Gli equilibri a zig zag di preparazione muscolare, tecnica e mentale, non sono quasi mai lineari. A volte prevale una componente rispetto alle altre e solo il tempo le integra tutte, soprattutto quella mentale. Di sicuro, per un apneista che ce la mette tutta, le analisi scavano buchi nel cercare di far emergere in ogni allenamento e gara, la voglia di gareggiare (‘dai che ce la fai!’) e il desiderio di fare sempre meglio (‘chissà come sarà oggi?’). Ma non sempre è così, appunto. Di gara in gara, si avverte la prepotenza di ogni minimo disequilibrio e ci si interroga su cosa ci sia di buono nel malessere, nella sua gestione o nel raggiungimento di una performance ottimale. Si fanno allenamenti che funzionano, si ‘tira’, e poi qualcosa si rompe. Accade qualcosa di ‘troppo’ che si fa sentire con sensazioni spiacevoli. A volte è il corpo che non reagisce come vorremmo: l’attivazione è scarsa o bassa, c’è paura e ansia, in acqua si scivola di meno, c’è fame d’aria, si soffre. Il più delle volte però è la mente che non reagisce bene, i pensieri si infiltrano fino a rimuginare il rifiuto: ‘ma chi me l’ha fatto fare?’ Un evento casuale, una preparazione non perfetta, una procedura non rispettata, una samba, un blackout, mettono in crisi mesi e anni di sforzi. L’apnea del divertimento e dell’interesse, vanno a farsi benedire. E tutto questo, perché? Si passa dalla voglia di fare del proprio meglio, allo stare sereni, senza aspettative e soddisfatti di un 6 politico, fino all’ingiunzione di un ‘hai appena fatto una parte del tuo dovere. E se non hai fatto almeno la tal misura o tempo, non sentirti soddisfatto.’ Quando si fanno gare con l’atteggiamento che 101 è ok e 99 non è ok, è difficile accontentarsi di aver fatto del proprio meglio se il risultato è sotto le attese. In quei casi è più facile contattare emozioni di rabbia, giudizio o dovere. Ma proprio queste sono le occasioni di crescita, quelle che fanno dire a se stessi ’fai del tuo meglio’, ‘fallo per te!. E’ una forma di empatia nei propri confronti. Alla fine dei giochi, la strada dell’integrazione psicologica è quella che, nel lungo periodo, ripaga maggiormente . Non è più la testa che tiene fuori, ma è la testa che si arricchisce di nuovi pensieri e che dice ‘fallo per te!’, ‘non temere di sbagliare’, ‘goditi il percorso, trova la cerniera, invisibile, della tua muta in goretex ed esplora nuove emozioni'.
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