Sono solo un Portiere.
Mi alleno ogni giorno, mi confronto con allenatori e compagni, ma dietro la porta sono solo. Come tutti, nel mio ruolo. Cerco di migliorarmi quotidianamente sia sul piano fisico, tecnico/tattico che mentale, per interpretare e decidere al meglio ogni situazione che mi si pone davanti, cercando di applicare diverse strategie, ognuna con la sua utilità, durata ed efficacia. Ma ho imparato che non è possibile avere una sicurezza totale in ogni situazione e che c’è una bella differenza tra le prestazioni effettuate in allenamento e in gara. Quindi, quando mi trovo di fronte a situazioni difficili - che si tratti di una gara importante, di un allenamento, di una riflessione post partita o di una analisi approfondita su di me - se vado al fondo dei miei ragionamenti trovo molti imput su cui riflettere e di cui far tesoro. Cosa voglio veramente offrire di me e delle mie prestazioni? Questo è dove tutto ha inizio. Inizia una partita e tutto si affolla: sensazioni, emozioni, pensieri; compagni, squadra, società, pubblico. E mi chiedo, ‘Come posso mantenere la concentrazione, senza abbassare mai la guardia?’. ‘Come posso fare un passo alla volta in ogni singola azione?’. Come posso fare sempre la scelta giusta? Tutto inizia lì. Qual’è il nostro giudice, quello sugli spalti, quello del campo o quello interiore? Il ‘giudice’ è come uno specchio che esaspera l’errore, che riflette la paura, che accresce il giudizio, che enfatizza la colpa. Quando so con chi ho a che fare, diventa relativamente più facile agire con chiarezza e convinzione. Sicuro dei miei mezzi. Devo capire bene chi è il mio ‘giudice’ e come ‘accettare’ l’errore quando accade. Da esso dipende la gestione delle mie emozioni e delle mie decisioni. Quale parte di me agisce in tutto questo? C’è una massima che dice: ‘Un’azione è buona se chi la compie conosce sé stesso!’ Non è mai esattamente chiaro come si gestiscono le emozioni e come le si canalizza nella giusta direzione. A volte ci si blocca e a volte si racconta la storia di miracoli e successi. Si usa il codice della visualizzazione ideomotoria e/o il codice verbale del dialogo interno, alla ricerca del timing giusto, delle esatte sequenze di movimento, della corretta lettura delle azioni di gioco, ma non funzionano sempre allo stesso modo. Ci sono tante componenti e variabili che possono sviare le migliori intenzioni. E’ una questione di centimetri, di posizione, di interpretazione. Si può far tutto giusto, ma perdersi nel dettaglio fatale. Che cosa aiuta ad andare oltre il giudizio negativo? Qualsiasi azione ha un’intenzione e uno scopo. Soprattutto l’errore. Il problema è quello di riuscire, in tempo reale, ad estrapolarne dei significati positivi. Se ci si riesce si stimola l’atteggiamento combattivo e costruttivo. Si stimola il guerriero che attraverso le prove più difficili, cresce. Se non ci si riesce si soccombe alle proprie emozioni e s-valutazioni. Qual è lo stimolo che può fare davvero la differenza nel diventare chi voglio essere? E’ il dovere, il piacere o la sofferenza? O il fare di più e dare di più? Tutte quante sono utili. Si tratta di essere sul pezzo, senza pensare al tempo, in modo da tirar fuori la grinta e di vivere dentro l’azione. Occorre giocare la partita sia a livello personale che in campo. Con un obiettivo: ‘essere sé stessi!’, ‘confrontarsi per essere migliori!’, ‘lottare per la squadra!’. Come riesco ad allenare la resilienza? Per avere una marcia in più e la corretta risposta agonistica, la freccia che ferisce, da qualsiasi parte provenga, deve essere tolta per continuare, con la forza del coraggio, a combattere. Non siamo mai completamente sicuri. C’è sempre una paura che ci confronta con i nostri ‘mostri/geni’ interiori. Si tratta di esserne consapevoli e di allenarsi deliberatamente per credere sempre più in sé stessi.
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