In questo post vorrei affrontare l’argomento del cambiare la mentalità del singolo atleta per produrre significativi cambiamenti nella squadra. Per farlo è utile pensare a come si sviluppano le funzioni sociali dell’amigdala (organo a forma di mandorla posizionato tra i due emisferi del cervello) che è ritenuta il centro di integrazione di processi neurologici superiori, in particolare delle emozioni, ed è implicata nel processo dell’empatia. Se penso all’atleta narcisista che considera molto se stesso e poco agli altri; all’atleta un po’ paranoico che vede atteggiamenti ‘contro’ un po’ dovunque; se osservo l’atleta aggressivo che combatte per ‘vita mia, morte tua’; se guardo all’atleta sopra le righe che degli altri dice ‘non me ne frega niente’, credo che stare in un gruppo e fare squadra sia difficile. Anzi, la squadra viene usata dal giocatore per i propri fini. Si può fare qualcosa? Si può aiutare un atleta a cambiare comportamento e migliorare le sue azioni e reazioni emotive? Possiamo trovare stimoli educativi adeguati? Gli studi ci assistono. Comincio con le ricerche che ci dicono che alcune persone vedendo l’immagine di una persona triste, fanno istantaneamente una smorfia, una reazione fisica misurabile: aumenta il battito cardiaco, la pelle suda; mentre altre persone non riescono a mostrare una reazione fisica: riconoscono le parole ma non la musica dell’empatia. Per alcune persone, pertanto, è come se le funzioni superiori dell’amigdala fossero limitate. Facciamo un passo indietro. Normalmente, acquisire un comportamento sociale (o morale) fa semplicemente parte del crescere, come imparare a parlare. All'età di sei mesi, virtualmente tutti noi siamo in grado di differenziare tra oggetti animati e inanimati. All'età di 12 mesi, la maggior parte dei bambini è in grado di imitare i comportamenti rilevanti degli altri. Pezzo dopo pezzo si costruiscono le fondamenta del cervello sociale in modo che all'età di tre, quattro anni, la maggior parte dei bambini, non tutti, ha acquisito la capacità di capire le intenzioni degli altri, un altro prerequisito dell'empatia. Sembra ci sia una finestra di opportunità, dopo la quale padroneggiare le questioni relazionali diventa più difficile, come per gli adulti quando imparano una lingua straniera. Anche se tra giocatori, scherzando, ma non troppo, si allude spesso all’immaturità del tal giocatore, o all’asocialità del tal altro, questo non vuol dire ovviamente che sia impossibile cambiare. Spesso tra giocatori ci si diverte con i videogame e tutti si pensa alla cottura lenta e inesorabile del cervello. La cosa interessante è che, in alcune ricerche a Stanford, attraverso giochi virtuali e l’identificazione del giocatore con protagonisti che hanno superpoteri al servizio della società, alcune persone sono poi diventate più premurose e servizievoli nei confronti degli altri. Non è che giocando a videogame evoluti anche il comportamento collaborativo ne possa beneficiare? Il problema è trovare modi appropriati per portare certi atleti a cambiare la loro mentalità e il loro comportamento, a loro vantaggio e a vantaggio di tutta la squadra. Venendo quindi alle nostre riflessioni su empatia, cambiamento e ricadute positive sulla squadra, il cervello e il comportamento possono quindi cambiare in meglio? Le ricerche ci confortano. Cominciando ad esempio a creare le condizioni che certe cavie da laboratorio trovano ottime: un ambiente ricco di stimoli, positivo e socialmente accogliente, fa accrescere la quantità di neuroni nel cervello, nell'ippocampo (che comprende la memoria a breve termine) e anche nell'amigdala stessa. Cosa comporta questa considerazione? Migliorare le relazioni non è solo una questione di autosuggestione. Il cervello, nella sua ‘neuro genesi’, è capace di straordinari cambiamenti a qualsiasi età e ci ricorda che il cervello è estremamente sensibile allo stress ambientale. Gli ormoni dello stress, i glucocorticoidi, rilasciati dal cervello, reprimono la crescita di nuove cellule. Più stress, meno sviluppo del cervello, che a sua volta causa minore adattabilità e provoca maggiori livelli di stress. Un vero cortocircuito. Affinché i nostri cervelli siano capaci di cambiare, i giocatori devono prendersi la responsabilità della loro ‘riabilitazione relazionale’ e prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Un modo per far funzionare questa maturazione sono i programmi di condivisione e recupero delle dinamiche di gruppo. Se i membri della squadra si incontrano faccia a faccia in incontri strutturati e sicuri, e il giocatore sopra le righe viene incoraggiato a prendersi la responsabilità delle proprie azioni, e il giocatore sensibile interpreta un ruolo attivo nel processo: in tale ambientazione, il giocatore sopra le righe riesce a vedere il giocatore sensibile come una persona reale, forse per la prima volta, con pensieri, sentimenti e una genuina reazione emotiva. Vorrei terminare con alcune riflessioni personali. La prima cosa che ho chiarito è che dobbiamo cambiare la nostra mentalità e modulare al meglio il nostro ambiente: gruppo, squadra, società. La seconda cosa che ho imparato è che dobbiamo creare un'alleanza tra le persone che credono che il tutoraggio (Coaching) sia fondamentale per portare un cambiamento nella squadra. Infine, credo ci sia bisogno di cambiare le nostre emozioni, perché questo problema va al cuore non solo dell’identità del singolo giocatore, ma di chi siamo noi come squadra.
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