Calcio e d'intorni

Poiché “la vita è un gioco”, sono molte le situazioni che ci vedono vincitori o vinti; ma sia che si tratti di competizioni facili e innocue, sia che si tratti di partite di calcio all’ultimo sangue, si ha un bel dire “l’importante è partecipare”, perché ormai è assodato - e purtroppo insito nell’animo umano - che l’importante sia invece sempre vincere.

Mi piace pensare, però, che il raggiungimento dell’eccellenza riguardi la maturazione di un processo psicologico in cui il valore dei giocatori e delle persone stia nel come si impegnano per un traguardo e nel come gestiscono una sconfitta.

Nello sport del calcio, in particolare, è sì importante fare bene e, soprattutto, fare un po’ meglio degli altri, ma cercando al tempo stesso, come un rabdomante, l’equilibrio tra sapere e passione, tra serietà e divertimento, tra dolore e piacere. L’idea è quella di vivere gli estremi e raccoglierne l’unità, l’intero, gli insegnamenti.

Conquistare una vittoria comporta una attenzione massima nella cura dei particolari. Riguarda una catena di eventi per cui, come recita un proverbio, “per un chiodo si perde un ferro di cavallo, per un ferro si perde un cavallo e per un cavallo si perde un cavaliere”, e tutti noi sappiamo che “per un punto si può perdere un campionato".

All'interno di una squadra, soprattutto colui che guida alla vittoria è responsabile del risultato, ma un esercito di ciechi al seguito di un generale non vedente, è condannato alla sconfitta. Per questo, tutti sono impegnati a tirare il carro, a togliere le maschere ed a contribuire al risultato comune.

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