"Apnea: dentro alla gara o la gara dentro" di Paola Negrini

Quando il mio istruttore mi parlò della possibilità di cimentarmi nelle gare di apnea, una bambina timida e occhialuta rise forte dentro di me.

In un istante mi ritrovai ai blocchi di partenza, infilata in un costume esageratamente grande per il mio gracile corpo di mini-nuotatrice, a masticare nervosamente la cuffia con le ginocchia esitanti sotto il peso dell'incertezza. Mi domandavo quante vasche avrei dovuto virare per nuotare i cento metri a stile libero sperando di non perdere il costume come l'ultima volta nello sprint finale e mancare drammaticamente il traguardo. Avevo sei anni.

Ancora tremano le gambe oggi a bordo vasca pochi istanti prima di entrare in acqua ma le paure fortunatamente non sono più le stesse.

Il circuito delle gare Federali è di facile accesso e offre la possibilità ad ogni atleta di mettersi alla prova, l'esordiente a fianco del campione. Ognuno con immense, piccole distanze da colmare nella vasca e nel cuore.

E' il vivace mondo del circo blu, il padiglione degli incontri e della conoscenza.

L'agonista esprime un eccellenza, sprigiona quel profumo di fierezza che inebria la coscienza dell'uomo e gli da un' appartenenza.Il suo gesto è di ispirazione all'umanità, cardine di cultura.

La cultura dell'espressione, connubio di capacità nel movimento e di pensiero.

Lo sport in questi termini consegna un'immensa risorsa, un bacino di approvvigionamento di emozioni, ricchezza e motivazioni che riempie l'anima: come bere direttamente da una sorgente senza che l'acqua passi per chilometri di tubi. E a volte è una sete implacabile, alimentata da desideri, ambizioni, bisogni silenziosi.

Le motivazioni che spingono l'atleta sono spesso molto diverse e private: in sostanza non c'è una motivazione giusta e universale, che possa essere insegnata.

Ognuno di noi cela una forza di azione molto intima che matura attraverso l'esperienza, l'osservazione, il confronto con altri atleti, l'apertura e la disponibilità alla condivisione dei metodi, degli approcci mentali e di allenamento.

Nella mia piccola carriera di atleta posso dire di aver sempre vinto.

Anche quando la prestazione in se falliva.

Sul piatto dell'evoluzione ho cercato l'ascolto dell'elemento , l'obbiettivo del piacere di una fusione piena. Un sentimento talmente potente da avvertirlo quasi doloroso e commovente.

Quando parte il countdown, sorrido ai mari , ringrazio la vasca che mi accoglie, sento i piedi appoggiati su un fondale di sabbia a mosaico azzurro; a fare il tifo per me i miei più cari amici, mia madre e mio padre, e una minuscola bambina che mi sorride, dentro a un costume esageratamente grande.

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“ Cinquanta chili, omaggio scherzoso a W. Szymborska”
( W. Szymborska  -   Kòrnik 1923 - Cracovia 2012)

Alla pedana di partenza
su cinquanta chili:
concentrati e determinati (ma fortemente)
trentotto, 

che non si ascoltano del tutto per non prendersi troppo sul serio
ventidue, 

desiderosi di misurarsi con se stessi
ad ogni costo
ben quarantasette,

inclini alla fuga
come il peggiore dei vigliacchi
ahimè diciotto e qualche volta anche di più,

severamente decisi ad annientare il nemico
(chiunque esso sia)
poco più di un alluce, forse un piede,

favorevoli a fermarsi per tempo
così da conservare margine di miglioramento per la prossima occasione
ventisette,

audaci e pronti alla sofferenza quando matura
quaranta
ma indicizzati al patimento dell'ipossia,
 
sordi ai preziosi suggerimenti dell'allenatore
(ma solo per stupido orgoglio e vanitosa ribellione)
è meglio soprassedere fin che si può,

disposti proficuamente agli insegnamenti
per desiderio di approvazione
purtroppo una ventina circa,

desiderosi di vincere sulle mortali cicatrici
cinquanta più il costume e la zavorra,

esploratori sulla nave dei sogni
dalle branchie fino alla pinna
fortunatamente.