Stagione nuova, stimoli nuovi, voglia di rivincita. Quando si parte dopo una stagione deludente (a mio avviso) è sempre un’incognita, non sai mai se il peggio sia passato o se sia semplicemente li vicino a te, ma ben nascosto, pronto a tornar fuori alla prima difficoltà. Come possono crollare le certezze di una vita, fatte di sudore e impegno, di amarezza e sacrificio da un errore, dalla parola di un compagno, dai fischi del pubblico? Come si può evitare di essere ‘alienati dal proprio mondo’: confinati, estraniati, passivi? E' una sensazione strisciante. Può accadere di sentirsi alienati dalla difficoltà di controllare la destinazione dei propri sforzi e sentirsi senza un vero potere personale. Ci si può sentire senza una chiara autostima e identità, con scopi che sbiadiscono. Ci si può estraniare da ciò che si fa, senza la spinta dei propri sogni. Ci si può isolare dagli altri senza partecipare o, al contrario, ci si può immergere in rapporti futili e conformistici. Pertanto senza una credibile conoscenza dell’altro e senza una effettiva integrazione di sé. Basta poco. Basta avvertire una crepa nei propri comportamenti, uno scollamento tra la propria personalità e i diversi ruoli che si interpretano, o la critica degli altri durante lo svolgimento di qualche azione, per sentirsi confusi nella propria identità, lontani dagli altri, con mete unicamente pragmatiche e come tali sofferte e non felici. Nello sport l’alienazione ha il suo terreno elettivo nelle attività professionistiche e semiprofessionistiche, come risvolto dello spettacolarismo, del tifo, della specializzazione, del campionismo, dell’esasperazione agonistica, dell’oggettualizzazione del corpo e delle sue prestazioni, della mitologia sportiva. Quando sei accompagnato dalla pressione della stampa che ti osanna e/o ti blandisce, quando la tua società ti tratta con ogni riguardo ma anche come un infante sottoposto ad una serie infinita di regole, vezzeggiato ma anche strumentalizzato, senti che è quasi normale sentirti sulla cresta dell’onda e/o alienato. Quando sei in campo durante la settimana ti prepari, ma senti che manca qualcosa a quello che sarà la partita del sabato, perché l’unica cosa che conta è VINCERE. Tutte le parate, tutte le uscite alte, i rinvii, la gestione della squadra, rappresentano il 70% dell’io dell’atleta, l’altro 30% te lo da la gara e una preparazione psicologica che va oltre gli allenamenti con il proprio preparatore. Personalmente ho giocato solo una volta in una società che ha creduto e tentato questa direzione. Dico tentato perché purtroppo se non hai risultati immediati vieni tagliato fuori in un batter d’occhio. Dopo due pareggi e una sconfitta, per la società non funzioni. E’ un errore? Non lo so. Sono percorsi lenti e difficili, e non è nemmeno facile approcciarsi nel modo giusto con se stessi, con la squadra, con la società. Spesso in squadra si rischia il momento goliardico, scherzi, battutine, ma penso che non ci sia nulla di più serio di un approccio psicologico per dis-alienarsi e riappropriarsi di un tempo e di uno spazio interiori. Purtroppo è un mondo così il nostro, si fa più affidamento al parastinco con la dedica ai figli, al tatuaggio portafortuna, alla scarpa allacciata in un certo modo, che a favorire un salutare processo di integrazione e maturazione personale. Mi fa piacere pensare che da ‘macchine’ umane quali siamo percepiti noi atleti si vada oltre per trovare da ogni situazione, anche la più frustrante e stressante, una via per essere, per affermarsi e per amare le sfide. Non solo quelle del calcio, che fortunatamente ci consentono di lavorare e di vivere, ma quelle personali che ci guidano verso un successo decisivo. Personalmente grazie al sostegno pratico di compagni, allenatori e familiari, e a un lavoro mio fatto di prove e riprove su campo, ho visto grandi miglioramenti. Avere attenzione al funzionamento della mente, visualizzarsi mentre si fanno le cose, alzare il livello di attenzione e concentrazione imparando a dialogare in modo efficace con i propri compagni, ma soprattutto rilassarsi attraverso la respirazione e l’utilizzo di pratiche che accrescono la consapevolezza del corpo, come il Qi-Gong, permette di avvicinarsi a quel di più che manca per favorire il VERO atleta che c’è in ognuno di noi.
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