Ecco cosa troverai leggendo questo libro: Questo libro è ricco di idee sulla psicologia dello sport, il coaching sportivo e il carattere degli atleti.
Nei suoi capitoli troverai tutta la freschezza di un pensiero rivolto ai temi più intriganti della ricerca in questo campo descritta in modo informale e diretto. Dentro ogni brano troverai il vissuto di persone e gruppi che hanno sudato le proprie scoperte e traguardi. I capitoli sono suddivisi in: 1. Le frontiere della ricerca: psicologia, coaching e counseling, dedicato allo sviluppo delle capacità e ai pilastri delle risorse psicologiche di ogni atleta. 2. I processi psicologici che guidano l’apprendimento e la prestazione, ovvero, come dare il meglio di sé, durante la preparazione agonistica e le gare. . 3. Sentire, agire e reagire, con strumenti pratici di auto-ascolto, training mentale, rilassamento e visualizzazione. 4. Presenza consapevole, con riflessioni ed esercizi sul respiro consapevole e 'cognitivo', l'auto-osservazione, la concentrazione, l'imagery e l'atteggiamento mentale positivo. 5. La preparazione mentale e la filosofia dell’atleta, con riflessioni sulle quattro componenti dell'allenamento mentale e dell'autoipnosi. 6. Scopi, strategie, motivazioni, valori e futuro, con una approfondita riflessione sull'identità dell'atleta ed i suoi desideri. I sei piani di una motivazione evoluta e le domande che innescano motivazioni virtuose. 7. Autocontrollo e resilienza, con suggerimenti per liberare la mente e migliorare il proprio atteggiamento alle gare, accettando gli errori e ponendovi rimedio. 8. La gestione delle gare, con riflessioni sul fattore umano, l'analisi di una gara e gli strumenti per dare il meglio di sé nella gestione dell'ansia da prestazione. 9. La gestione di emozioni e pensieri, con esercizi per la calma interiore, l'auto-motivazione e la gestione della paura, dei pensieri killer e del rimuginio. 10. La gestione dello stress, con strumenti per percepirne gravità, conseguenze e sopportabilità. 11. Risorse psicologiche, con pratiche per migliorare l'autostima, l'intraprendenza e le condizioni che conducono allo stato di flow. 12. Sport di squadra, con riflessioni su calcio e dintorni, allenatori preparati al coaching sportivo e le regole per realizzare un gruppo coeso. 13. Leadership, con riflessioni su autorevolezza e caratteristiche di un leader. Ogni progetto, ogni piano e ogni prova sono come una pentola che va in pressione. Quando si supera una determinata temperatura, si sente il sibilo dell’aria che fa ‘ffffsss’, e a un certo punto qualcosa fuoriesce. In quell’attimo si fa esperienza di qualcosa che invita alla presenza, all’azione e alla trasformazione.
Nelle prove lunghe del nuoto, della corsa a piedi o in bici, il sibilo è rappresentato dai tanti segnali fisiologici che l’atleta sperimenta: noia, fatica, dolore, nausea, nervosismo. Dico sperimenta perché in quelle circostanze l’atleta ha la possibilità di sentire, agire e reagire, in un modo del tutto speciale. Anche quando nulla viene lasciato caso (preparazione fisica e tecnica, alimentazione e dieta ottimali, etc.), la mente è all'attiva ricerca della corretta congiunzione tra vari fattori: concentrazione, decisione, autocontrollo, resilienza. All'inizio, l’atleta è nei propri panni, presente a se stesso, attento alle proprie condizioni. A proprio agio e pronto a imparare da ogni nuovo ostacolo, disagio, difficoltà, intoppo. Tutto lo arricchisce e corre spedito verso le proprie aspettative. Poi arriva il momento che si dimentica di sé e porta l’attenzione alle condizioni esterne, alle strategie da attuare, alle decisioni da prendere. La mente corre in fretta e comincia la pressione. L’atleta comincia a capire l’importanza della presenza in quello che fa e contemporaneamente scopre che l’inconveniente, in qualsiasi forma esso si presenti, può diventare un invalicabile ostacolo alla presenza. E di conseguenza alla performance. Il corpo, con i suoi segnali, entra nella mente e l’immaginazione diventa qualcosa di concreto. Il movimento diventa un mantra e le parole ripetute diventano effettive, tangibili, reali. L’atleta è lì, con un disturbo che deve cessare, un disagio che deve evaporare, presente a se stesso, all'interno di una finestra temporale, estremamente sottile e fragile, cui connettersi. Tutto diventa parte di un insieme organico quando va dentro se stesso e osserva ciò che accade. Non solo per influenzarlo ma per scoprire un mondo diverso: un corpo che si muove, un cuore che batte e la sensazione di osservarsi da fuori. In quella condizione speciale può accadere di tutto. La sensazione di poter affrontare l’impossibile, accettare il dolore, accogliere i fastidi. Semplicemente ‘andare oltre’. Quando qualcuno va oltre l’ordinario, preoccupa famigliari e amici. Ma per l’atleta, ogni evento è l’occasione per sperimentare un diverso modo di essere e di fare. E’ un atto di amore e di cambiamento. Così ce la raccontiamo quando, con Virginia Tortella, condividiamo i passaggi difficili di un’esperienza o di una prova: si accetta ciò che accade, si realizza l’arcano dentro di sé, si cresce attraverso le difficoltà, si sperimenta la consapevolezza. La paura scompare e anche quelle passate, grazie all'accettazione della loro chiamata, si dissolvono nella magia di un pensiero assente. E’ sorprendente parlare con una adolescente di scacchi e scoprire come questo gioco rappresenti un’affascinante occasione di auto scoperta, autocontrollo, consapevolezza, problem solving e decisioni che possono far male.
Auto scoperta Attraverso il gioco degli scacchi si scopre il divertimento conoscendo delle regole, applicandole man mano che si sviluppa il gioco, adattando comportamenti funzionali mossa dopo mossa, utilizzando delle strategie in uno scenario simbolico, mettendo all'angolo l’avversario. Autocontrollo Il tutto avviene nel silenzio, nell'eccitazione dell’attesa, nel ‘rumore’ dei ragionamenti, nell'urgenza di decidere, nell'incertezza della mossa da compiere. Il gioco degli scacchi invita all'attenzione e alla presenza, alla calma e al rilassamento. In pratica si può vincere controllando le emozioni. E si può perdere per le tensioni generate da aspettative irrealistiche, per la paura di sbagliare, per l’ansia che offusca il pensiero. Consapevolezza Chi gioca esplora se stesso attraverso uno specchio magico. Attraverso la lettura dei pezzi sul piano di gioco, il significato che assumono le diverse posizioni e il senso del loro movimento, il giocatore scopre l’eleganza e la logica del gioco, prevede le mosse future, adotta strategie e acuisce le proprie percezioni attraverso l’intuizione. Problem solving Attraverso l’attenzione e la consapevolezza conosce le proprie azioni e reazioni e come farvi fronte. Si addestra per modellare comportamenti che lascino il segno, affronta problematiche e difficoltà, accresce l’autostima e impone un controllo sulla realtà del gioco e … della vita. Decisioni che possono fare male Tante volte però lo scacco è mentale. Si rimane intrappolati nel giudizio, nell'ansia del tempo che scorre, nell'indecisione di una scelta, nella deriva di una sconfitta, nel rimuginio dei pensieri. Non si impara più dagli errori e dall'esperienza, e perdere diventa un castigo. Questa è il gioco della vita e gli scacchi ne rappresentano il riassunto. Si può perdere senza perdersi. E si può vincere quando non si perde il sorriso. E’ bello rilassarsi e ricordarsi di sé mentre la vita scorre e si cerca di dare il massimo in ogni situazione.
Così diventa motivante il continuo oscillare tra attenzione e interesse, impegno e concentrazione, riflessione e presenza. La connessione che riusciamo a percepire con le cose che facciamo ogni giorno, anche quelle che non ci piacciono, alza il nostro il livello di vigilanza. Se riusciamo a rimanere consapevoli delle azioni che stiamo compiendo, con tutti e cinque i sensi, e anche il sesto, probabilmente aumenta la sensazione della ‘presenza’. I tentacoli attenzionali si accendono dentro e fuori di noi mentre siamo coscienti di ciò che accade, vigili, presenti a noi stessi e consapevoli. Ma tutto ciò è motivante? E quando le cose non vanno bene, è bene rimanere presenti al dolore, alla fatica, alla frustrazione, alla rabbia e a quant'altro? Immagino che la presenza di sé anche in situazioni difficili possa essere utile e vada modulata, comunque, non sfuggita. Il libro dei ricordi di noi stessi, dei nostri sensi, delle nostre azioni ed esperienze, è ricco di suo e basterebbe attivarlo di tanto intanto per sperimentare una vita più piena. Ma come si fa? Attraverso l’attenzione doppia - dice Ouspensky, in 'Frammenti di un insegnamento sconosciuto', con una parte dell’attenzione su di noi e un’altra parte all’esterno di noi, in contatto con il nostro respiro, ci ricordiamo di esserci. In quello che sperimentiamo, ci siamo anche noi. Quindi non si corre con la cuffia della musica, con i pensieri ballerini o con distrazione come anestetico, ma si rimane presenti a sé stessi mentre si è in scena. E la scena è vivere bene le variabili, cavalcare le proprie energie e orientarsi tra i diari e le biografie di persone speciali. per conoscere e nuotare da Padenghe a Lazise, fino a Peschiera. Da costa a costa, su per quelle onde e giù da quelle, e poi a sinistra se non a destra, davanti in fondo alla guida, fino al traguardo. Da ovunque verso ovunque fino a un crocevia dove convergono attese, sforzi, dolori, propositi e nuove speranze. Ricordarci di essere presenti a noi stessi diventa la prima motivazione. La noia dei lunghi tragitti e la ripetizione degli stessi movimenti per migliaia di volte, come nel nuoto, addormenta il cervello. Per un po’ fa bene, la noia libera e svuota i pensieri, ma se si arriva a sperimentare la percezione del vuoto e del nulla, fino all'assenza del pensiero, mancano gli stimoli per fare qualsiasi cosa.
Se vediamo la noia come quel meraviglioso sentimento umano che non può trovare pace in nessuna cosa terrena, allora possiamo elevare la noia a inestimabile occasione di conoscenza personale. Niente la può soddisfare e al contempo può diventare la molla per andare oltre e scoprire i germogli di segrete passioni e attività. La noia non è solo nausea esistenziale, tedio della vita o salvavita naturale, è un vero e proprio inno alla forza propulsiva del logoramento e dello stancarsi di fare la stessa cosa. Oltre quella finestra c’è altro, c’è l’oltre confine, qualcosa di inesplorato, sia dentro che fuori. Soprattutto dentro. Nella vita di tutti i giorni ci difendiamo da questa condizione con il fare coattivo e compulsivo, e con stimoli sempre nuovi, ma nello sport si tratta di trovare in chi la vive le strategie per riconoscerla e mitigarla. Vediamo cosa succede quando ci si annoia per fatica, logoramento e stanchezza. Si riduce il campo dell'attenzione, della concentrazione, della memoria e della capacità associativa del pensiero. In quelle circostanze si diventa senza stimoli e l'IO si spegne. Ci si trova messi all'angolo di un ipotetico ring mentale, con la necessità di alzare la testa, uscire dall'angolo e trovare un nuovo respiro alle cose. Per lo sportivo, si tratta di rimanere attivo con i sensi e il corpo, al mondo emozionale, mentale e spirituale, e di tradurre in narrazione e musica, movimenti e ritmi, i pensieri e i gesti che si sono ‘temporaneamente’ disallineati. Nella noia, corpo, emozioni e mente, viaggiano per conto loro. Le strategie individuate con Virginia Tortella per le sue prove di nuoto prolungato, sono universali. Abbracciano tutti i livelli e il suo speciale tipo di allenamento sta diventando un’occasione unica per sperimentare diversi metodi utili a contrastare la noia. Ogni atleta, naturalmente ha le sue strategie, ma quelle che propongo di seguito rappresentano un percorso da sperimentare con interessanti risvolti. Quando ci si annoia, la prima cosa che si perde è la narrazione, il racconto, la storia e la continuità della propria avventura. Gli stimoli sembrano assenti. Quindi, la prima strategia diventa quella di ingannare la mente richiamando la storia degli inizi, raccontandosela in modo nuovo e replicando nella mente le parole più significative. Però non basta. Quale atteggiamento potrebbe aiutare a godere di un ‘momento’ spiacevole? La dissociazione corpo mente sembra essere una delle strategie più efficaci. Si va avanti anche se la testa non ce la fa. Ma la testa ‘deve’ esserci e ‘può’ fare la differenza. Così la strategia propugnata da diversi atleti e allenatori - ad esempio, Orlando Pizzolato nella maratona - è quella di essere ‘pazienti’ nell'attraversare le varie fasi del disagio. La strategia delle strategie diventa allora vivere quello che accade, al meglio. Vivere il presente, ‘qui e ora’, godendosi paesaggio e percorso. Una speciale strategia che riguarda la consapevolezza e il ricordo di sé in azione: una forma di ricentraggio e ristrutturazione del pensiero, che consente di vivere il momento presente e riprendere il proprio ritmo: si accettano le variabili e ci si concede un'altra possibilità e un'altra prospettiva. Quando ci si annoia, il corpo si fa sentire con disagi e somatizzazioni, il dolore e la fatica diventano un martello. In quei casi può essere utile ricordare e ripetere mentalmente una canzone, una poesia, un mantra, una preghiera. Tutti elementi che possono spostare l’attenzione e riavviare temporaneamente nuovi equilibri ed energie. Quando la noia è particolarmente invadente nessuno stimolo interno aiuta. In quei casi, per irretire la mente possono essere utili stimoli esterni. Idee su cui soffermarsi, proiettare, progettare e costruire ogni minimo dettaglio. Infine, quando si sta male è come se la luce degli affetti si spegnesse. In quei casi è utile sentirsi rapiti dalle voci degli amici, delle persone care e dal tifo di turno, anche aprendo il canale dei ricordi e del dialogo interno con le persone più significative della vita: genitori e mentori. Sono tutte strategie che hanno un loro effetto più o meno duraturo in base al vissuto sperimentato. Si tratta di riabilitare l’IO che sì è temporaneamente dissestato e ‘accettare’ quello che c’è e che viene. Accettare quello che accade e continuare a muoversi. Si tratta di puntare la luna e fare il giro della terra. L'obiettivo rimane comunque la salute e il ben-essere, con un pensiero di profonda accoglienza per sé stessi: ‘vada come vada, nulla è da buttare!'. Chi opera per professione nell’ambito della relazioni e della comunicazione, e cioè tutti noi, sa che non basta sapere, occorre essere pratici e concreti. Quindi, si, a buoni modelli; sì, a buoni studi; sì, soprattutto, a buona pratica. E tanto cuore.
Ebbene, la PNL (Programmazione Neurolinguistica) aiuta proprio in questo: analizza i comportamenti, gli schemi e le strategie più idonee e ci invita a migliorare il nostro personale stile comunicativo. Migliorare la comunicazione con noi stessi e con gli altri, significa agire sul sistema nervoso e favorire l’emergere di nuovi modelli comportamentali e nuovi modi di essere. Affascinante, no? Ciò significa che lo stile comunicativo, di cui siamo portatori nella nostra vita, può essere migliorato in modo semplice ed efficace, attraverso l’applicazione di ciò che funziona e lo studio dell’esperienza soggettiva. Si tratta di trasformare i problemi, i rimpianti, i fallimenti, in qualcosa di costruttivo e utile, più attenti alle regole che governano i processi mentali. Quindi, più ricerca di positività, benessere, salute, più preparati ad affrontare le sfide di un mondo in grande fermento. Se ti interessa avere a disposizione un sistema pratico, in grado di migliorare la tua competenza e benessere, le tue prospettive e previsioni, e la risposta è sì, leggi il programma e partecipa al prossimo stage del 14/15 luglio che si terrà a Montegrotto Terme (PD) su: PNL ed i fenomeni percettivi della comunicazione, condotto dall’Ing. Lorenzo Savioli e dal team di STEP. Sono solo un Portiere.
Mi alleno ogni giorno, mi confronto con allenatori e compagni, ma dietro la porta sono solo. Come tutti, nel mio ruolo. Cerco di migliorarmi quotidianamente sia sul piano fisico, tecnico/tattico che mentale, per interpretare e decidere al meglio ogni situazione che mi si pone davanti, cercando di applicare diverse strategie, ognuna con la sua utilità, durata ed efficacia. Ma ho imparato che non è possibile avere una sicurezza totale in ogni situazione e che c’è una bella differenza tra le prestazioni effettuate in allenamento e in gara. Quindi, quando mi trovo di fronte a situazioni difficili - che si tratti di una gara importante, di un allenamento, di una riflessione post partita o di una analisi approfondita su di me - se vado al fondo dei miei ragionamenti trovo molti imput su cui riflettere e di cui far tesoro. Cosa voglio veramente offrire di me e delle mie prestazioni? Questo è dove tutto ha inizio. Inizia una partita e tutto si affolla: sensazioni, emozioni, pensieri; compagni, squadra, società, pubblico. E mi chiedo, ‘Come posso mantenere la concentrazione, senza abbassare mai la guardia?’. ‘Come posso fare un passo alla volta in ogni singola azione?’. Come posso fare sempre la scelta giusta? Tutto inizia lì. Qual’è il nostro giudice, quello sugli spalti, quello del campo o quello interiore? Il ‘giudice’ è come uno specchio che esaspera l’errore, che riflette la paura, che accresce il giudizio, che enfatizza la colpa. Quando so con chi ho a che fare, diventa relativamente più facile agire con chiarezza e convinzione. Sicuro dei miei mezzi. Devo capire bene chi è il mio ‘giudice’ e come ‘accettare’ l’errore quando accade. Da esso dipende la gestione delle mie emozioni e delle mie decisioni. Quale parte di me agisce in tutto questo? C’è una massima che dice: ‘Un’azione è buona se chi la compie conosce sé stesso!’ Non è mai esattamente chiaro come si gestiscono le emozioni e come le si canalizza nella giusta direzione. A volte ci si blocca e a volte si racconta la storia di miracoli e successi. Si usa il codice della visualizzazione ideomotoria e/o il codice verbale del dialogo interno, alla ricerca del timing giusto, delle esatte sequenze di movimento, della corretta lettura delle azioni di gioco, ma non funzionano sempre allo stesso modo. Ci sono tante componenti e variabili che possono sviare le migliori intenzioni. E’ una questione di centimetri, di posizione, di interpretazione. Si può far tutto giusto, ma perdersi nel dettaglio fatale. Che cosa aiuta ad andare oltre il giudizio negativo? Qualsiasi azione ha un’intenzione e uno scopo. Soprattutto l’errore. Il problema è quello di riuscire, in tempo reale, ad estrapolarne dei significati positivi. Se ci si riesce si stimola l’atteggiamento combattivo e costruttivo. Si stimola il guerriero che attraverso le prove più difficili, cresce. Se non ci si riesce si soccombe alle proprie emozioni e s-valutazioni. Qual è lo stimolo che può fare davvero la differenza nel diventare chi voglio essere? E’ il dovere, il piacere o la sofferenza? O il fare di più e dare di più? Tutte quante sono utili. Si tratta di essere sul pezzo, senza pensare al tempo, in modo da tirar fuori la grinta e di vivere dentro l’azione. Occorre giocare la partita sia a livello personale che in campo. Con un obiettivo: ‘essere sé stessi!’, ‘confrontarsi per essere migliori!’, ‘lottare per la squadra!’. Come riesco ad allenare la resilienza? Per avere una marcia in più e la corretta risposta agonistica, la freccia che ferisce, da qualsiasi parte provenga, deve essere tolta per continuare, con la forza del coraggio, a combattere. Non siamo mai completamente sicuri. C’è sempre una paura che ci confronta con i nostri ‘mostri/geni’ interiori. Si tratta di esserne consapevoli e di allenarsi deliberatamente per credere sempre più in sé stessi. Da ormai diverso tempo, dopo una seduta, un incontro, una riunione, faccio delle riflessioni su ciò che accade e così è stato ieri sera a Montegrotto Terme dove, partecipando alla messa a punto di un progetto di record da parte di Virginia Tortella (attraversata a nuoto rana del Lago di Garda), ci siamo incontrati per pianificare il futuro di allenamenti, esperienze e visioni.
In genere, sappiamo che a tavola, mangiando e bevendo, è difficile approfondire qualsiasi tematica. Non è il luogo adatto, probabilmente. E’ giusto così però, perché le cose importanti, quelle che emergono oltre la condivisione delle date, degli appuntamenti, delle fatiche, degli sfoghi, sono altre. Tra le pieghe dei discorsi, degli sguardi e della fiducia reciproca, infatti, emergono verità che lasciano il segno. Che fanno bene interiormente. Al di là del tentativo di record che senz’altro è straordinario, quello che colpisce è la leadership di Virginia. Da una parte trasmette la sua indipendenza e autosufficienza. Agisce per risolvere i problemi che incontra ed è determinata a raggiungere ciò che ritiene importante. Come una ruspa, avanza e trascina con sé una rete complessissima di persone, sponsor, autorità, compagni di viaggio. In una battuta, tutto il Veneto, da Venezia a Verona, ai confini del Lago di Garda. Un esempio di leadership naturale che trova senso e prospettiva nelle cose che accadono. Anche i lutti. Che agisce con creatività e accetta ciò che viene. Anche le delusioni. Il messaggio che arriva da Virginia, è forte e chiaro. Il record è un buon mezzo per sperimentare uno scopo importante con l’orgoglio di viverlo insieme a una comunità di persone. Dall’altra parte Virginia trasmette l’idea che il benessere suo e degli altri dipendono dalla presenza, dalla partecipazione, dai rapporti significativi. Ciò che sembra motivarla col sorriso riguarda la gratificazione dei rapporti, l’accettazione, l’amore, l’attenzione. Virginia possiede il potere della trasformazione. E per questo, si segue volentieri. Sa usare la testa e il cuore. Agisce con forza, guidata da valori. Crea un’atmosfera di calore. Fa scelte che la gratificano e che stimolano gli altri a dare il meglio di sè. Agisce con istinto materno prendendosi cura di ogni dettaglio. E’ predisposta all’azione e al cambiamento. Questa, per quanto mi riguarda, è leadership in azione. La sua preparazione al record sta diventando un modo per condividere bellezza, serenità e completezza. Anche l’ultima gara non è andata bene.
Non sono bastati gli esercizi e le sollecitazioni dell’allenatore/coach/maestro. Dietro le quinte della mente, gli errori di valutazione e le tensioni hanno giocato male. E allora, ancora una volta, c’è da riflettere su un’esperienza che non è da buttare via. Innanzitutto, un allenatore dovrebbe credere nel proprio atleta; aiutarlo a riconoscere le sue attitudini, capacità e talenti; e sostenerlo fino a raggiungere livelli di eccellenza. E l’atleta, cosa dovrebbe fare oltre a sostenere appropriati allenamenti? Dovrebbe imparare, migliorare e cambiare mentalità conservando una sensazione di vitalità e utilità anche nelle sconfitte. Soprattutto migliorando la concentrazione su come fare al meglio determinate cose. Deve volerlo, conoscere delle strategie ed eseguirle con determinazione. Due cose sembrano fare la differenza nel rendere un atleta ciò che è: le sue azioni (come decide di impiegare il tempo) e le sue reazioni(come decide di rispondere agli eventi che si presentano). Cosa c’è da riflettere e imparare se, dopo una sconfitta, l’atleta si arrabbia, butta via le cose o si dispera? C’è da riflettere sullo scopo che ha in testa e che non può essere la ragazza che lo liquida, il problema scolastico o lavorativo, le aspettative famigliari, le paure, etc. Bensì lo scopo da conseguire. E lo scopo da conseguire non riguarda solo la gestione degli imprevisti o la gara del momento. In una gara occorre decidere cosa conta davvero e cosa si vuole da una determinata situazione. Solo così si diventa ottimi decisori sia nell’affrontare le asperità del momento, sia nel dare significato ai propri obiettivi. Immaginare il futuro A volte si perdono le gare perché non c’è chiarezza su cosa si vuole diventare, che cosa si vuole conseguire, che cosa si vuole imparare. Non c’è un’immagine chiara del futuro. Non c’è uno scopo ben definito. Scoprire, al contrario, chi si vuole essere e diventare, smussa gli angoli e rafforza il carattere. Invita a sapere per cosa vale la pena impegnarsi e cosa si vuole veramente da una determinata situazione. Si impara dal passato, ma il futuro è lì, davanti. Bisogna avere un gran carattere per affrontare allenamenti impegnativi ogni giorno e coinvolgere nella propria avventura personale e mediatica fior di professionisti, sponsor e strutture organizzative. Con una mente super impegnata a organizzare ogni dettaglio, gestendo al meglio ogni difficoltà, tutto sembra muoversi in modo ordinato nell'esperienza di Virginia Tortella, 'Virginia la rana’. Il suo tentativo di record della traversata del Lago di Garda a nuoto rana, insieme al suo coach di Apnea Nicola Valenzin, passa attraverso molteplici esperienze e allenamenti in palestra, in piscina e al lago. Ma non solo. La preparazione che guarda al futuro e, aggiungo, alla conoscenza di sé passa anche attraverso l’esperienza dell’apnea subacquea e delle gare del circuito nazionale del GIA (Giro d’Italia in Apnea). Per chi è abituata, come lei, al movimento dinamico sia fisico che mentale, l’apnea è diventata una sfida: sperimentare la coscienza di sensazioni, emozioni, immagini, pensieri, suoni, movimenti e comportamenti, in nuovi modi. Con più lentezza, più presenza, più sfide con se stessa e con gli altri, e anche più ‘noia’. La noia del ‘non fare’. La lentezza del tempo che s-finisce. In un lago le sfide sono il freddo, il fastidio della muta, le onde, il tempo, la distanza, la fatica muscolare, i sintomi fisici, l’alimentazione, etc. Ma in apnea, quella statica in particolare, dove non bisogna fare nulla, la sfida è stare con se stessi, ingannarsi a volte, ma soprattutto gestire il tempo dell’apnea, dell’abbandono, della concentrazione, della scoperta dei propri limiti. Ecco allora due scenari dei quali diventare confidenti e amici, se si vuole percorrere la strada dell’apnea consapevole. Lo scenario dell’abbandono dove, dopo una adeguata preparazione all’introspezione, al rilassamento e al respiro consapevole, ci si lascia andare in acqua immersi in un sogno ad occhi aperti, fatto di libere associazioni e pensieri che durano fino alla comparsa del debito d’ossigeno, e lo scenario dell’autocontrollo. In entrambi i casi bisogna assecondare contesti e significati (allenamenti e gare) e adottare utili strategie con le quali sostenere la propria miglior disposizione al benessere e al risultato. - La prima cosa da fare, dopo la preparazione standard, è quella di appoggiarsi in acqua alla ricerca di un assetto ottimale, chiudere gli occhi ed entrare in se stessi, con arti e collo completamente abbandonati. Si ferma il movimento degli occhi e con essi i pensieri; - la seconda consiste nel rilassare le singole parti corporee con l’accompagnamento di un dialogo interno. Si osserva il proprio essere interiore nei dettagli. Ci si muove all'interno da arto ad arto. Si tocca con l'attenzione una parte del corpo e ci si concentra lì; - la terza è quella di permettere alle libere associazioni di declinare verso lo stato di benessere. Si osserva il proprio edificio di pensieri e ci si conosce dall'interno; - la quarta scaturisce dal pensare a luoghi ed esperienze piacevoli nelle quali sperimentare intense sensazioni. Si prova la libertà della leggerezza, del corpo e dell'identità. Ci si muove nella mente e si scende in profondità. - la quinta riguarda la ricerca di esperienze motivanti a cui legarsi per superare i momenti di anossia (percorsi mentali, pensieri creativi, soluzione di problemi, emozioni famigliari, etc.). Si sperimentano i pensieri come oggetti della mente cui attingere risorse. La fatica di certi momenti diventano il riflesso di una superiore conoscenza dei propri limiti ; - la sesta scaturisce dal muoversi in acqua. Si testa con il movimento ciò che rimane alla fine di un viaggio durato alcuni minuti e con essa l'autocoscienza. - la settima deriva dalla capacità di ‘lallare’ mentalmente (questa è una nuova tecnica) in modo creativo, quasi una nenia, un mantra, un modo poetico di osservare e accompagnare le emozioni di quei momenti. Disagi compresi. Con i suoni interiori e in taluni casi con frasi, si asseconda il movimento interiore, si sperimenta il corpo e si osserva la mente. Non ultimo, e riguarda una tecnica ipnotica, si tratta di lasciar andare le singole parti del corpo senza avvertirle più in una sorta di ‘abbandono immerso e fluttuante’. Troppa poesia? Chissà!? Attraverso certi stati si impara a rilassarsi volendosi bene e con l’adrenalina si punta alle stelle di una magica traversata. Prima di una gara importante è difficile rilassarsi. La tensione è palpabile e i pensieri sono invadenti, estranei e negativi: ‘non va bene’, ‘fa male perdere da determinate persone’, ‘è brutto perdere malamente’.
I pensieri che affollano la mente sono come zanzare che trovano la forza in uno stimolo emotivo come la paura, l’aspettativa, il giudizio, la necessità di fare bene e montano fino all’asfissia mentale. In quei casi, diventa difficile radunare l’attenzione sul ‘qui e ora’ delle cose che precedono la gara, mantenere la giusta concentrazione, rimanere rilassati interiormente, presenti nei momenti cruciali. Ma è proprio ciò che serve: osservare cosa accade dentro di sé, rimanere concentrati, coscienti dei propri mezzi, centrati interiormente. Osservare cosa accade dentro di sé e nei propri pensieri è la prima cosa. Riuscire a descrivere a se stessi la qualità dei pensieri, con la possibilità di osservarli come un treno in corsa, consente di riconoscere che i pensieri non sono tutto e soprattutto non siamo noi. Se si riesce a distinguere l’intensità dei pensieri dallo stato interiore, che ‘il pensiero non sono io’, appunto, è possibile riconoscere sullo sfondo uno stato di calma soggettivo. Il divertimento è 'un gioco molto serio’. In altre parole, se si riesce a giocare con le sensazioni e le immagini dei pensieri invalidanti, i pensieri fanno meno paura. E’ la sensazione che da qualche parte dentro di noi non c’è panico, c’è il piacere di divertirsi e di partecipare ad una gara come un gioco. Come quando da bambini si giocava molto seriamente, ma spensieratamente, prendendo tutto con facilità. Rimanere concentrati, con la grinta giusta e l’approccio corretto alle azioni di gara, viene da sé, insieme all'idea di accordare e riprodurre il proprio ritmo interiore: 1, 2, 3, invece di 1,1,1. A spegnere. Il giusto ritmo interiore ‘1,2,3 e a parte le paure, i dubbi e l’ansia ’io sto bene’. E’ bene ripeterselo. Quando si riescono ad oggettivare i pensieri negativi e a ridurli a sfondo o a eliminarli con diverse strategie, ad esempio con il respiro, il rilassamento o il controllo delle submodalità, è più facile ritrovare ricordi di passati successi e condizioni di ripristino e fiducia nelle proprie capacità. E’ più facile ricordare situazioni in cui si è andati bene ed equilibrare il peso delle proprie paure e timori. Pertanto, se si analizzano i pensieri disturbanti e si oggettivano, se ne prendono le distanze. Se si riconosce un proprio nucleo di presenza distesa e si richiamano i ritmi dell’agire psicofisico più idonei, si agganciano i ricordi di passati successi. Se si cerca di rimanere presenti con la massima efficienza è più facile avere l’atteggiamento di un pensiero accettante: ‘vada come vada, ho fatto del mio meglio, non c’è nulla da recriminare’. Dopo aver fatto le cose giuste, anche le coincidenze ‘fortunate’ daranno una mano. Soprattutto si cresce. Per valorizzare l’arte della performance e apprendere in base al proprio livello di coscienza, rispettoso delle proprie peculiarità fisiche, è necessario ‘accordare lo strumento’. E lo strumento è il corpo e i suoi movimenti.
In certi allenamenti e gare, la determinazione dell’atleta la si riscontra nella qualità del movimento, nella spontaneità dei gesti, nella liturgia delle animazioni, e, anche, nelle noiose azioni ripetute. L’atleta, quando è curioso dei propri movimenti ha modo di scoprire i molteplici significati e motivazioni che ne stanno alla base. Questo avviene se studia e regola i movimenti stessi, con lo scopo di scoprire risorse tecniche e fisiche, sia nei movimenti appropriati che nei non-movimenti. E cosa scopre? Che ogni sforzo ha la qualità di combinare il peso corporeo con il trasferimento del corpo nello spazio, di modulare il tempo di esecuzione con il flusso della relazione, sia con l’avversario che con gli elementi dominanti dell’ambiente. Il movimento ha una sua efficacia intrinseca. Parte da un impulso nervoso, agisce come spinta e raggiunge uno scopo. Il movimento per l’atleta è il suo linguaggio. Detta i singoli atti, parla attraverso i gesti, microfona attraverso intere sequenze di movimento. La qualità dei gesti poi permette di comprendere come sta davvero l’atleta, non solo nel corpo, ma emotivamente e psicologicamente. Se l’atleta è attento, riesce a distinguere il semplice atto ordinario dal movimento consapevole e qualificato. E questo avviene se ha la possibilità di cogliere l’e-motion, la dimensione emozionale dell’azione. La ricerca del movimento efficace, pertanto, è la ricerca incessante di un equilibrio tra movimento spontaneo, immediato, impulsivo, ma anche rinfrescante e generativo, e movimenti più controllati tecnicamente e mentalmente. Il tutto si somma all'ascolto, in tempo reale, delle proprie condizioni psicofisiche compresi i sintomi, le tensioni, il nervosismo, le preoccupazioni. Quello che si genera diventa arte dell’esperienza e bellezza dell’azione e si esprime in spontaneità (e-motion, appunto) e controllo flessibile (e-organization). E’ questo che rende piacevole ed efficace l’azione sportiva, soprattutto quando il movimento sostiene l’intenzionalità delle proprie motivazioni. Se il movimento potesse parlare direbbe: ‘avanti tutta’, ‘mettici l’anima’, ‘reagisci’, ‘io sono partito’. Si tratta di assecondarlo, seguirlo, accompagnarlo. Ma dice anche: ‘attento, osserva, analizza, hai l’opportunità di sperimentare l’essenziale in ogni secondo/minuto. Permettiti di conoscerti meglio e di connetterti con i desideri che intendi realizzare’. Questa è la danza del movimento. Questa è la tua danza. Dopo aver visto errori gravi da parte di stimati giocatori in partite importanti di campionato, di coppa e di champions, ci si chiede come mai accada e come eventualmente rimediare?
Apprendere dall’errore e imparare qualcosa di significativo, nel tempo può e deve diventare esperienza, carattere, maturazione. Ma per molti non c’è tempo e la ricerca dei rimedi è necessaria, urgente, vitale. Ma andiamo con ordine. Perché si sbaglia e quali sono le tipologie d’errore? Innanzitutto è importante riconoscere il tipo di errore, renderlo oggettivo e non ansiogeno. Esistono ‘errori di presenza a se stessi e al gioco’. Sono scivolate che sfociano in sbagli involontari di attenzione e valutazione. Sequestro emotivo, dovuto alla forte tensione del momento agonistico, che impedisce o interrompe la corretta sequenza di azioni. L’errore di interpretazione di una fase di gioco che porta a fare la cosa sbagliata nel momento giusto, o a sbagliare la sequenza di regole tecniche, che portano a fare la cosa giusta nel contesto sbagliato. Infine, l’errore intenzionale da inesperienza o al contrario da eccessiva fiducia nelle proprie capacità, che si compie quando si prende una scorciatoia. Insomma, i motivi per compiere errori e sovraccaricare la mente sono innumerevoli. Come si valuta l’errore e quali conseguenze ne discendono? Riuscirà l’atleta a recuperare facilmente la svista compiuta o si trasformerà in un sequestro del pensiero? In questi casi è importante accettare che ‘ciò che è accaduto è accaduto’ ed è un fatto. Ed è probabile che ‘accadrà ancora’. Non va temuto e va interpretato come uno sprone per migliorare le proprie capacità e competenze. In questa fase è necessario, dopo un esame oggettivo degli errori, come prima cosa, interrompere il rimuginio e disattivare la tensione emotiva e fisica che può tenere in scacco per ore, giorni e settimane la propria immagine di sicurezza. Il problema vero è un altro. Si può sopportare la tensione dovuta all’errore? E soprattutto si può rimediare? E come? A questo deve rispondere l’atleta in modo costruttivo. L’errore come abbiamo visto serve per crescere professionalmente. Come rimediare, allora, e imparare la lezione? Ammetterlo pubblicamente, può essere un passo utile per superare il timore del giudizio altrui. Ma non basta. Una volta analizzati gli errori può essere utile dedicare un tempo specifico all’allenamento mentale dove utilizzare il dialogo interno per richiamare all’attenzione azioni e comportamenti appropriati. Vedere video delle azioni più importanti in un clima di osservazione oggettivo e rilassato. Lo scopo in questo caso consiste nel vedere l’errore operando in modo paradossale e contrario sulla tensione fisica. Ridurre i fattori di tensione e le interferenze interne con allenamenti appropriati, extra allenamento, di rilassamento, attenzione, centratura psico-fisica e respiro. Insomma ci sono certamente diverse cose da fare, non ultima quella di ridurre il senso di inferiorità/superiorità che a volte annebbia la vista e impedisce di allenare la mente in modo appropriato. Brutta bestia la motivazione, soprattutto quando non c’è.
Se manca la foga, la grinta o la scia dei buoni vecchi risultati diventa difficile districarsi nel labirinto delle proprie ombre interiori e richiamare gli stimoli adeguati. Se gli stimoli non sono giusti vuol dire che si è perso di vista il faro dei traguardi e la necessaria determinazione. Le gare sono spesso un terno al lotto per tanti fattori e non si possono controllare completamente. Per eccellere, infatti, non basta gareggiare per divertirsi. Non basta, soprattutto, se non si ha la giusta concentrazione, la scintilla agonistica, l’istintività e la messa in campo di tutta la propria esperienza. Quello che si sa fare non viene fuori se non c’è una centratura psico-fisica e un respiro che accompagni il recupero tra un'azione e l'altra. Prima di cominciare ogni incontro o prova, è necessario quindi un tempo dove si respira in modo diaframmatico, si centra la postura e si richiamano all’attenzione i dinamismi dell’azione. Se occorre, si mimano alcuni gesti rituali e ci si concentra al meglio. Obiettivo: ‘essere già lì’, nell'azione, con i motori accesi, della fiducia e della motivazione. Se serve, ci si rivede più energici e positivi, a dispetto di quello che accade. Perché questo? Perché anche se non siamo pronti al 100% da un punto di vista tecnico o emotivo, possiamo sempre supplire con una buona visione, un’energia positiva, un’azione che guarda al dunque, al risultato. Comunque. Ci sono momenti in cui non siamo preparati al massimo, la lucidità è annebbiata e non si riesce a fare del proprio meglio. Succede. Ma dobbiamo avere in mente il momento dell’ascolto e della centratura, dove poter richiamare le parole sante di: ‘stai rilassato’, ‘sai le tue potenzialità’, ‘non farti prendere dal panico’. 'Non serve perdere la testa'. 'Ricordati di cosa hai fatto in passato, di come lo hai fatto e di come ti sei sentito. Fallo ora, proprio nel momento in cui ti serve.' 'Focalizzati sulla tecnica, vivi bene l’approccio e comprendi l’azione. Cerca di avere voglia di far accadere quella cosa magica che si chiama ‘presenza a te stesso’ e richiama quelli che sono gli obiettivi ed i sacrifici che hai fatto per essere lì in quel momento e godere pienamente di tutto il tuo lavoro'. Caro Nicolò, oggi compi 30 anni. Buon compleanno!
Il compleanno, quest’unica giornata, 1 Maggio, riassume i ricordi di un periodo, un mese, un anno, 30 anni. E le immagini che mi si accavallano in testa vanno dritto all’essenziale e ne colgono gli sviluppi. Mentre ti guardo, ti immagino, ti parlo, ti racconto, ti osservo come un genitore che invece di inebriarsi dei tuoi successi (anche, ovviamente) vede te come persona. In questi anni ti ho visto adattarti e smussare gli spigoli, ma ho visto anche l’impegno a diventare un esemplare di unicità e a condividere il piacere e l’amore con compagni e compagne altrettanto unici e speciali. Il successo conforta, i titoli spronano, l’affermazione spinge. Il tuo occhio alla palla, al gioco, alla professione di calciatore, hanno tirato fuori il tuo carattere, le tue paure, i tuoi segreti, i tuoi fantasmi, i tuoi momenti, il tuo amore. Puoi esserne orgoglioso. Hai costruito il tuo carattere con il silenzio, il dispiacere, l’autocontrollo, la capacità di sopportazione, la vigilanza, la pazienza, la discrezione. Non mi interessa più pensare, da psicologo, che sei quello che sei perché hai avuto una certa famiglia, una determinata infanzia, un tale oroscopo o archetipo. Adesso, mi piace pensare che ti osservi, che ti immergi sempre più a fondo nel rompicapo del tuo carattere e accresci la tolleranza per i fatti e le esperienze che vivi. E invece di tirare fuori giustificazioni e colpe, su come le cose sarebbero potute essere diverse o migliori, mi auguro che la tua curiosità si soffermi sulle immagini di te, sui successi maturati, sulle visioni che si riflettono in un’infinità di racconti diversi e che mostrano il tuo carattere in azione. I bordi del campo di gioco, l’ultima parata, la mano che saluta i tifosi, etc., sono solo azioni. Chiunque può applaudire prestazioni sopra la media e premiare l’eccellenza. Quello che ti esorto a fare è di riconoscere la bellezza che hai dentro, compresa l’originalità del tuo carattere unico che in talune circostanze della vita ti ha fatto rotolare e soffrire. Ti invito ad apprezzare ciò che è strano, a studiare il prossimo per scoprirne il lato stravagante e a localizzare l’essenza del carattere in ciò che è unico in ciascun fenomeno. Soprattutto quelli che, provocando dei cambiamenti, ti fanno crescere. Caro Nicolò, oltre la confusione delle emozioni impetuose, tutto è chiaro! Buon compleanno! Tuo Papà (Pappo) Mentre tornavo da Ferrara verso Siena, ho ascoltato la semifinale di Champions tra Liverpool e Roma e mi ha colpito il modo in cui una partita possa trasformarsi in delirio e la testa dei giocatori e l’organizzazione di una squadra possa andare nel pallone.
La battaglia tra Liverpool-Roma per la semifinale di Champions League si è consumata ed è finita 5 a 2 per il Liverpool. Dopo 25 minuti di gioco equilibrato la Roma ha perso le misure soffrendo la velocità del Liverpool e la sua messa in campo. Sono bastati pochi errori ed è cominciata la corrida. Toro insanguinato, la Roma. Torero scatenato, il Liverpool. E’ lì che la Roma ha perso la testa e il pallone è diventato un oggetto estraneo? Con una messa in campo non ottimale da parte dell’allenatore Di Francesco che ha schierato una difesa perforabile, i giocatori hanno perso spazi e misure. La prima fase della bollitura sono stati gli errori banali e lo smarrimento di tempi e ritmi. Dopo 25’ la Roma si è dimenticata la grammatica del fraseggio e della visione di gioco, e il respiro dei movimenti si è trasformato in panico. Perdere la testa in quei momenti è terribile. Si concedono spazi a chi, come Salah, ci mangia a colazione. Dopo il primo dei cinque goal, la difesa della Roma va in completa confusione. Da quel momento, la difesa disorientata e le marcature deboli rendono il gioco della Roma inefficace, incomprensibile, impraticabile. La lezione diventa pesantissima. Palle parabilissime o intercettabili diventano errori su errori di una grammatica del calcio elementare, disconnessa, schizofrenica. Non c’è più ragionamento e si entra nell’incubo dell’avversario. E’ lì che la testa non c’è più e che una squadra perde i propri riferimenti? Disattenzioni nei passaggi, schemi di gioco saltati, ansia per qualsiasi pressione dell'avversario, dis-organizzazione della visione, demotivazione, incapacità di reagire e resettare rapidamente lo sconforto, sono stati una vera piaga. Meno male il finale. Una reazione orgogliosa e speriamo una lezione di testa soprattutto. Di una cosa siamo certi: quando la testa va nel pallone tutta la catena mentale di attenzione, concentrazione, memoria, emozione, ragionamento, motivazione, va in cantina. Che cosa impariamo da tutto questo? Che se la testa va nel pallone va allenata la capacità di reagire ai momenti difficili. Ben vengano allora queste lezioni che diventano esperienza dell'inesperienza. E cioè maturità. Un atleta che cerchi il proprio record personale o di vincere contro un avversario, si prepara adeguatamente, cerca le strategie migliori per gestire le proprie emozioni e fa di tutto per superarsi. Nel farlo si trova quasi sempre al confine di qualcosa, alla ricerca delle condizioni ottimali.
Per questo, talvolta senza volerlo o senza esserne pienamente cosciente, adotta nei confronti del propria preparazione mentale delle modalità pervasive a livello percettivo, cognitivo e comportamentale, che producono esperienze insolite, immagini amplificate, voci interiori, credenze magiche, telepatia, superstizione, ‘sesto senso’. Insomma tutto ciò che gli permetta di accrescere l’organizzazione di una prestazione e gestirne i picchi, la fatica o il dolore, compreso l’ultimo metro, secondo o contatto. Molti atleti, per quello che fanno, per i sacrifici che compiono e per quello che vivono nella loro testa, potrebbero essere considerati dei matti un po’ speciali. Alla ricerca, attraverso le loro performance, di una normalità straordinaria. E allora, per non essere considerati dei malati di mente che mettono a repentaglio la propria vita, come succede in molti sport estremi, nascono i manuali di sicurezza e buone pratiche mentali. Obiettivo: nessun rischio e massimo controllo sulle condizioni fisiche e psicologiche dell'atleta. Uno degli sport dove tutto questo viene sviluppato all’ennesima potenza è l’apnea. E ‘l’apnea non mente’ quando l’atleta tocca con mano i propri punti critici di preparazione, autocontrollo e limiti. Nell’apnea la parte mentale si allena in modo molto serio e molti istruttori, in questo caso penso a Paola Negrini (una tra le istruttrici di apnea del circuito Fipsas più apprezzate per preparazione e sensibilità), adottano prima, durante e dopo precise, ma anche individualizzate e creative, modalità di preparazione mentale. Immaginazione e percorsi mentali in ogni singola fase di gara. Sia che si tratti di apnea statica, dinamica, discesa in costante o a rana. Frasi per ogni momento critico. Varie stanze di pensieri adatte ad ospitare percorsi narrativi utili ad accompagnare il tempo che scorre. Visi di persone, etc. In ogni prima fase di gara si cercano le sensazioni più piacevoli, nella seconda, più ‘tirata’, si scopre il meccanismo della sofferenza e si individua la propria ‘sofferenza rilassata’. Vale a dire si impara a ‘calibrare la tensione e la fatica nel modo giusto’. E così, come negli allenamenti ripetuti ed estenuanti si tratta di estendere i confini della piacevolezza facendo in modo di alternare ripetizioni mentali altrettanto piacevoli. L’ideale è esercitare la propria capacità di immaginazione, accettando un po’ di fobie quando qualcosa non va nel modo giusto, un po’ di paranoia quando la lotta si fa dura, un pizzico di ossessività quando si affrontano cose complesse, e un po’ di istrionismo quando si vuole emergere dalla massa e vincere. Dall’allenamento mentale nascono buone teorie e dai mutamenti dell’umore viene la creatività. Se riusciamo a gestire tutto questo al meglio possiamo batterci sulla spalla e farci i complimenti. Ricordiamoci solo che, prima di una gara, avere tutte le nevrosi possibili (i non riesco, i non posso e gli altri sono migliori di me) significa non averne alcuna. Basta non lamentarsi. In bocca al lupo per le prossime gare. Siamo tutti diversi. E nel progettare o avvicinare un record di lunga durata come una maratona, una corsa in bici, un record di nuoto o di volo a vela, ci scontriamo con equilibri interni che vanno riconosciuti e gestiti.
Su tutti primeggiano la preparazione, la dieta, la motivazione e la concentrazione. La preparazione fisico tecnica e una adeguata alimentazione, sono senz'altro le prime cose da perseguire con volontà e determinazione. Vanno sostenute da buone motivazioni che possono riguardare motivi di rivalsa, di compensazione o eroici. E vanno rinforzate, soprattutto nella gestione del dolore e della fatica, da buone strategie di concentrazione. In genere, se un’atleta tenta un’impresa è già molto avanti su tutti questi aspetti. Oggi mi vorrei soffermare sulla ‘noia’ che può intervenire negli allenamenti prolungati e nelle performance di lunga durata. Penso a Virginia Tortella, ad esempio, che vuole attraversare il lago di Garda in due prove distinte di nuoto a rana di trenta e sessanta chilometri. Rispettivamente 15 e 30 ore di nuoto continuative. E cosa si scopre mentre si analizzano i destini psicologici delle sue varie riflessioni? Che serve tutto. Che nonostante una prova così impegnativa e la ripetizione di migliaia di movimenti tutti uguali, emerge la necessità di esercitare libertà su tutto il resto. Dentro di sé, attraverso l’espressione di uno stato di rapimento interiore. Fuori di sé tramite il contatto con una natura amplificata di sensazioni, colori, luce, fiori, luoghi… acqua. I fatti da gestire saranno la fatica, il dolore, la noia. Le risorse si manifesteranno attraverso la natura, la centratura, i mantra, i suoni e le persone. La consapevolezza dei campioni (no pain, no gain) che si calano in imprese speciali devono affrontare tutte queste variabili in modo efficiente. Come? Con tutto quello che porta alla cura del dettaglio:
Nella migliore tradizione, l’eroe che tenta l’impresa non ha dubbi. Il suo pensiero è statuario: ‘Si! Lo voglio! Lo faccio! Io ce la faccio!’ ‘Soddisfazione!’. Sarà record del record! Ma se anche non fosse e l’eroe fosse costretto alla resa? La prova diventerà sogno e ci sarà solo un cambio di contesto, di significato e di tempo. Paura e coraggio si si fonderanno come per magia. Ci si allena tanto e con tanto impegno e prima o poi i risultati arrivano. Anche inaspettati.
La crescita sportiva richiede una adeguata preparazione mentale. Ci si impegna, giorno dopo giorno, si impiegano tempo ed energie, e si cerca di esplorare le porte delle possibilità: sentirsi bene in allenamento e in gara, e ottenere risultati costanti e in crescita. Non è la giornata ottimale però in un giorno un po’ speciale, metro dopo metro, si toccano i 200mt in apnea con monopinna. Grande gara. Grande prestazione. La preparazione, partita con sensazioni orribili, quasi da lasciar perdere, trova un cambio di passo con la mente che inanella il suo mantra: ‘vuoi che non riesca ad arrivare ai 75mt con piacere? Vuoi che non arrivi a fare come l’amica inesperta con i suoi 110mt? Vuoi che non riesca a fare i 120mt di quello che si lamenta sempre? Vuoi che non raggiunga i 150mt che faccio regolarmente in allenamento? Al massimo esco. Vuoi che non raggiunga il record di quell’amico, tutto istinto, che neanche si allena? Vedo i 200mt, vuoi che non ci arrivi? Vaff… ! Ci provo! Scivolo e ci sono! Ci sono!!!’. Che soddisfazione riuscire nell’impresa! Da qui inizia il bello. Nonostante la qualità degli allenamenti, e questo vale in tutti gli sport, è difficile confermare, successivamente, la progressione dei risultati, gara dopo gara. Record dopo record. Anzi, il peso di fare bene, l’ansia del risultato, la paura della fatica o le sensazioni che giocano male, innescano quella vocina interiore che a volte si mette di traverso e borbotta: ‘vali poco. Non stai facendo abbastanza. Non ce la farai. Non raccontartela’. Così, anche se in modo paradossale, si scopre che perfino la delusione ha un suo preciso percorso. Quando si è soverchiati da emozioni avverse, il fallimento, si prepara formulando un chiaro elenco di cose che si realizzano profeticamente. Nella migliore delle ipotesi, immagini vivide di una realtà ispirata, quanto difficile da realizzare, accompagnate da sensazioni spiacevoli di ansia e tensione, con un dialogo interno e voci di sottofondo dubbiose. In sostanza, più ci si dà da fare per trovare la soluzione ideale alla propria performance e più accade il contrario. Pensa e ripensa, alla scoperta del bisogno che sottostà all’esigenza dell’atleta di superare l’empasse e vivere l’esperienza come un’opportunità, arriva l’idea. Dialogare con quella vocina negativa e integrarla. Interessante! Ma come? Come riconoscere le ragioni sottostanti? Nel caso dell’apnea la fatica, la sopravvivenza, la figuraccia, sono senz’altro presenti. E cos’altro? Oppure, come esplorare in modo intuitivo quei canali sensoriali dove la voce è musica e movimento insieme? Come integrare il tutto con musiche alternative, movimenti naturali e accordi interiori? Utili per le prossime gare? Occorre allenarsi mentalmente in due direzioni. Quello del piacere mentale cercando il raccordo con immagini positive e autocontrollo assoluto attraverso routine ben calibrate. Quello che in pratica si è sempre fatto. E quello dei pensieri reali, spesso ansiogeni, per allenarsi ad accogliere la genuina e sana reazione di batticuore, respiro corto e diaframma bloccato, la cui unica risposta consiste nel fare del proprio meglio in condizioni difficili. |
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